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Management Engineering - Analisi e Progettazione dei Processi Aziendali

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08/10 Ci occuperemo di ciò che riguarda l’operatività delle imprese in un contesto globale. CAPITOLO 1 : GLOBALIZZAZIONE A partire dagli anni 80 le aziende dei principali paesi occidentali hanno iniziato a orientarsi verso una delocalizzazione delle produz ione, principalmente per ridurre i costi, in quanto paesi asiatici ma anche dell’est Europa offrivano un costo della manodopera inferiore rispetto a quello che le imprese dell’Europa centrale dovevano sostenere. Se io delocalizzo la produzione non genero p iù posti di lavoro in Europa ma da qualche altra parte (dove vado a produrre), infatti in Europa si è registrata una profonda perdita di lavoro in campo manifatturiero tra il 2003 e il 2016 (nel paese in cui aveva originariamente sede l’azienda si registra vano perdite di posti di lavoro in quanto si è sempre più ricorso alla delocalizzazione). Nel 2007 c’è stata un’inversione di tendenza in quanto c’è stata negli USA una crisi poi dilagata in Europa e nel resto del mondo, a fronte della crisi si è fatta men o delocalizzazione, in quanto aprire uno stabilimento in un altro paese del mondo può avere una convenienza (in termini di costo della manodopera) ma genera grandi investimenti e incertezze di conseguenza deve essere fatta in un contesto di mercato stabili e favorevoli; ciò però può anche essere dovuto al fatto che il differenziale nel costo della manodopera si sta progressivamente riducendo, quindi se prima era super conveniente produrre nell’est Europa ora anche loro hanno elevato i livello di salari quin di i vantaggi di costo legati al costo del lavoro sono diminuiti, ma anche perché sempre più si è andati verso l’automazione di conseguenza ridurre i costi di manodopera diventa meno rilevante essendo sempre più essa diminuita. La linea blu rappresenta t ale trend del settore manifatturiero, in x gli anni in y la perdita di lavoro in EU. OFFSHORING=DELOCALIZZAZIONE Quindi negli ultimi anni si sta sempre più cercando di riportare la produzione in loco, in certi paesi ci sono proprio delle politiche che cerc ano di facilitare ciò. Un altro disincentivo alla delocalizzazione è la supply chain in quanto produrre nell’est Europa per poi destinare i prodotti al mercato di origine dell’azienda sicuramente comporta costi elevati e organizzazione più complessa e prob lematica. A causa di tutto ciò spesso le aziende decidono di riportare la produzione nel home -country, ciò si chiama RESHORING. GLOBALIZZAZIONE Essa è una crescente interdipendenza/integrazione dell’economia globale. Essa può essere intesa come: -GLOBAL IZZAZIONE DEI MERCATI, è riferita alla caduta delle barriere commerciali infatti fino a non molto tempo fa era difficile vendere all’estere, prima il commercio avveniva su base nazionale. Ciò ha portato alla nascita dei GUSTI GLOBALI, gusti comuni in tutto il mondo come la CocaCola, l’utilizzo dei Amazon. Rimaniamo però coscienti del fatto che ogni nazione/mercato rimane con le proprie caratteristiche, infatti la stessa CocaCola differenzia la propria ricetta di un minimo da paese a paese, anche il Mc. -GLO BALIZZAZIONE DELLA PRODUZIONE, la prima era più riferita alle preferenze dei consumatori nei vari mercati, ma globalizzazione vuol dire anche che nel momento in cui vado a realizzare il bene/servizio io ho delle opportunità a livello globale, opportunità d i andare a recuperare le mie materie prime (lavoro, energia, capitale umano e finanziario, terra) in diversi posti del mondo, e tendenzialmente andrò a recuperarlo dove mi è più conveniente farlo, non sono più vincolato alle disponibilità di materie prime del paese in cui ho la sede ma ho l’opportunità di andare a recuperare le materie prime di interesse nel posto che ritengo più opportuno, e farò tale scelta guidato da due possibili drivers, il primo è il costo (recupero materie prime dove sono più conveni enti), se invece perseguo una strategia di differenziazione marcata/specializzazione allora andrò a recuperare le mie materie prime la dove c’è il miglior produttore al mondo in assoluto di quella materia prima. ESEMPIO BOEING Esso è un esempio in quanto tale veibolo è formato da n componenti ciascuna delle quali arriva da un paese diverso, in quanto Boeing è andato a cercare il miglior produttore al mondo di quel componente: GLOBAL PRODUCTS=Prodotti che come Boeing 787 sono realizzati con il contributo di soggetti e di materie prime recuperate globalmente. IMPEDIMENTI ALLA GLOBALIZZAZIONE -Barriere formali (legati alla cultura, lingua) ed informali (dazi) al commercio che ancora esistono. -Costi di trasporto e di coordinamento. -Rischi economici, far si c he la valuta non ci penalizzi. ISTITUZIONI GLOBALI A seguito della seconda guerra mondiale si è sempre più colta una certa interdipendenza tra i vari stati la quale ha portato all’esigenza di creare delle istituzioni che gestissero tale interazione tra st ati, vediamone alcuni. -GATT, GENERAL AGREEMENT ON TARIFFS AND TRADE, il quale si è costituito ed ha poi dato vita ad una associazione che oggi è nota come WTO (WORLD TRADE ORGANIZATION), quindi il GATT è il precursore del WTO. L’obiettivo di tale istituzi one era favorire la riduzione delle barriere al commercio internazionale. Il passo successivo è stato la creazione della WTO, che ad oggi accoglie 164 nazioni le qualche quali rappresentano il 98% del commercio globale, essa regola il sistema del commercio internazionale e assicura che le nazioni rispettino le regole e facilita l’accordo tra le nazioni membre. -Altra istituzione nata a valle della seconda guerra è l’=NTERNAT=ONAL MONETARY FUND, fondo monetario internazionale, rispetto alla WTO che gestisce il commercio internazionale aveva come obiettivo quello di tenere sotto controllo il sistema monetario internazionale, esso è stato definito come il prestatore di ultima istanza in quanto interviene laddove paesi sviluppati o in via di sviluppo si trovano di fronte ad una crisi. -Abbiamo anche il WORLD BANK, banca mondiale, la quale favorisce lo sviluppo e si focalizza sul prestito a paesi sottosviluppati o in via di sviluppo, quello di prima interviene in situazioni di crisi, questo offre sostegno economic o a basso tasso di interesse. -UNITED NATIONS, mantenere la pace e la sicurezza internazionale. Si propone di sviluppare relazioni di amicizia tra le varie nazioni (193 nazioni). -G20 o GROUP OF TWENTY, il suo ruolo è formulare una politica coordinata in r isposta a crisi che colpiscono paesi sottosviluppati o in via di sviluppo. DRIVERS (ciò che ha spinto) DELLA GLOBALIZZAZIONE Essi sono principalmente 2, da un lato il crollo delle barriere al commercio e all’investimento, dall’altro lo sviluppo tecnologic o (esso ha permesso una grande globalizzazione, per esempio il crollo dei costi di comunicazione dovuto allo sviluppo tecnologico, prima costava molto fare una chiamata all’Estero, ma anche il crollo dei costi di trasporto, i voli aerei decenni fa costavan o tantissimo). Inizialmente il mercato era dominato dagli USA, oggi per esempio anche Cina, Giappone ed Unione Europea sono grandi protagoniste, quindi la globalizzazione è un fenomeno in continua evoluzione. Gestire un’azienda a livello internazionale ha delle sfide peculiari rispetto ad un business domestico, tra queste: -avere delle pratiche di gestione dell’impresa, del personale, dei trasporti, della logistica, che variano da paese a paese; -prendere delle decisioni più complesse; -la capacità di comp rendere le dinamiche del commercio mondiale, dei tassi di cambio. 15/10 CAPITOLO 6: TEORIA DEL MERCATO INTERNAZIONALE Vedremo una serie di teorie le quali cercano di dare una spiegazione all’utilità o meno del L=BERO MERCATO, per libero mercato intendiam o la possibilità di scambiare beni e servizi senza limiti, ovvero quando il governo evita di influenzare con per esempio dazi ciò che i propri cittadini vogliono acquistare da un altro paese o ciò che possono produrre/vendere in un altro paese (limiti sia alle importazioni che alle esportazioni): Le tre citate sono le tre prospettive teoriche che andremo a considerare e che sono tutte a supporto del libero mercato: -TEORIA DEL VANTAGGIO ASSOLUTO di Adam Smith. -TEORIA DEL VANTAGGIO COMPARATO di David Rica rdo. -TEORIA DI Heckscher -Ohlin. In generale, a parte una teoria iniziale che era a favore dei confini e quindi della limitazione dello scambio di beni e servizi, tutti si sono orientati verso una visione ottimistica del libero mercato, in quanto seppure e sse tre pongano l’accento su aspetti e situazioni differenti in generale il libero mercato ha dei benefici (comuni a tutte) soprattutto in termini di specializzazione (in quanto se non si può importare nè esportare io azienda dovrò produrre tutto, se invec e c’è il mercato libero posso specializzarmi in qualcosa e le altre cose vengono prese dall’estero o da altre aziende. Quindi il principale vantaggio di tale mercato libero è favorire la SPECIALIZZAZIONE. Altro aspetto condiviso in tutte queste teorie è ch e nel momento in cui vado a limitare le importazioni a vantaggio delle imprese nazionali io in realtà metto in difficoltà i miei consumatori in quanto qualora avessero accesso al libero mercato avrebbero la possibilità di ottenere lo stesso prodotto/serviz io ad un prezzo inferiore o a qualità superiore. ESEMP= D= SPEC=AL=ZZAZ=ONE: L’=talia è nota in tutto il mondo per la produzione di vino, pasta, formaggi. L’Arabia petrolio. Ci sono però fenomeni di specializzazione più difficili da interpretare, il Giappo ne automobili, Svizzera orologi. PROSPETTIVE TEORICHE CHE VEDREMO Si parte dal MERCANTILISMO, la prima reazione dei Governi al libero mercato, ovvero chiudo le barriere, limito importazioni/esportazioni. Ci sono poi le 3 TEORIE DEL LIBERO MERCATO. Ed infine due nuove teorie che stanno emergendo: New Trade Theory e la TEORIA di Porter, le quali danno una visione strategica del commercio internazionale. MERCANTILISMO Esso è una prospettiva che ha come concetto chiave il fatto che la ricchezza di un paese dipende dalla quantità di riserve di oro e argento che il paese è stato in grado di accumulare nel tempo, maggiore è la quantità più ricco è il paese e quindi maggiore sarà il suo vantaggio competitivo nei confronti delle altre nazioni. Oro e argento io lo accumulo se massimizzo le esportazioni (vendo ad altri paesi prodotti e servizi) ma non importo. =l mercantilismo ha una visione del mercato globale come un G=OCO A SOMMA ZERO, ovvero, c’è chi vince e chi perde, io sono bravo ad accumulare oro e arg ento ho vinto, tu hai ridotto le tue riserve e hai perso. Esso è stato dimostrato non essere sostenibile nel lungo periodo, a causa di ciò ci sono stati sviluppi teorici ulteriori, ciò perché bisogna considerare le implicazioni di esso, se tale teoria mi d ice che devo esportare ma non importare io ho un surplus nella bilancia commerciale (essa è il saldo tra che importo e ciò che esporto), questo surplus genera inflazione, in quanto aumentano le disponibilità di oro e argento ma aumenta anche l’offerta di m oneta, si genera inflazione, ovvero l’aumento dei prezzi, la mia moneta vale meno e per acquistare lo stesso prodotto devo pagare di più, al contrario nello stato che importa molto ma non esporta la carenza di risorse di oro e di argento fa ridurre l’offer ta di moneta e quindi genera deflazione (si riducono i prezzi). TEORIE SUL LIBERO MERCATO Date queste considerazioni hanno gli economisti iniziato ad interrogarsi sui benefici del LIBERO MERCATO. TEORIA DEL VANTAGGIO ASSOLUTO La prima è quella di Adam Smith, egli scrisse un libro (The Wealth of Nations) in cui mette in discussione tutti gli assunti del mercantilismo, e afferma che ogni paese dovrebbe specializzarsi nella produzione di beni sulla quale ha vantaggio competitivo assoluto rispetto agli altr i, e acquistare invece dagli altri quei prodotto nei quali non ha vantaggio assoluto. Nel momento in cui ogni paese fa ciò entrambi i paesi beneficiano del libero mercato. La concezione di mercato internazionale che nasce con Smith è quella di mercato inte rnazionale come un GIOCO A SOMMA POSITIVA, nessun paese si arricchisce di più, ma tutti i paesi coinvolti hanno la possibilità di arricchirsi. Tale vantaggio assoluto si basa su una variabile di riferimento, ovvero, la “produttività del lavoro”, vado a rea lizzare quel prodotto/servizio per il quale sono più produttivo. ESEMPIO Abbiamo due paesi il Gana e la Korea: Consideriamo due prodotti, cacao e riso, e una certa quantità di risorsa scarsa che sono 200 unità di tale risorsa. Sappiamo che il Gana deve utilizzare 10 unità di risorsa per ottenerne 1 di cacao, 20 unità di tale risorsa scarsa per ottenerne 1 di riso. La Korea invece 40 unità di tale risorsa scarsa per 1 di cacao, 10 per 1 di riso. Il Gana sulla base di questi dati ha un vantaggio assoluto sul cacao e la Korea sul riso, ciò viene rappresentato dalle due rette che rappresentano la frontiera produttiva per questi due paesi. Il rosso è la frontiera per il Gana il verde per la Korea. Il Gana con le 200 unità di risorsa a disposizione può decider e di produrre 20 unità di cacao e 0 di riso o 10 di riso e 0 cacao, queste sono le soluzioni estreme a disposizione del Gana (o una combinazione intermedia che si collochi lungo tale retta). Ci chiediamo se a tali due paesi conviene produrre un po di entra mbi o conviene ognuno specializzarsi per poi scambiarsi l’altro bene. Secondo Smith conviene specializzarsi che lo dimostra con dei calcoli: Nella prima sezione ci sono i dati. Poi si parte con la prima ipotesi, produzione e consumo senza commercio, ogni stato invest e 100 risorse nel riso e 100 nel cacao, il Gana produrrà 10 tonnellate di cacao e 5 di riso, la Korea 2,5 e 10 (se il Korea investe 100 nel cacao e la produttività è 40 allora metto 2,5). Seconda ipotesi, specializzazione, stesso metodo per il calcolo dei valori in tabella. Complessivamente se nella prima ipotesi riuscivano a produrre 12,5 tonnellate di cacao e 15 di riso, con tale seconda ipotesi 20 e 20. Nel caso di specializzazione però vediamo il lato consumo, in quanto la Korea non può cam pare solo con il riso e il Gana cacao, sicuramente dovranno commerciare, quindi se ti specializzi è necessario che poi scambi. Nel terzo scenario considero il consumo pensando allo scambio, e ipotizzo che delle 20 tonnellate prodotto di un bene (Korea riso , Gana cacao) per nazione 6 vengano scambiate con l’altra. =l Gana consumerà 14 tonnellate di cacao e 6 di riso, il contrario per la Korea. =l delta che trovo considerando la differenza tra tali valori per nazione (ognuna 14 di un bene e 6 dell’altro) con i valori della prima ipotesi trovo che con la specializzazione il Ghana potrà consumare 4 tonnellate in più di cacao e 1 di riso, stessa cosa faccio per la Korea. Ciò dimostra che il mercato libero è vantaggioso se ogni paese si specializza nel bene per cu i ha un vantaggio assoluto (più bravo in termini di produttività del lavoro). VANTAGGIO COMPARATIVO Qual ch e anno dopo Ricardo (nel libro Principles of Political Economy) ritorna su tale teoria di Smith, egli dice che è interessante tale teoria ma mettiamo c aso che ho un paese che è talmente bravo da essere più produttivo sia nel fare riso che cacao tale paese cosa dovrebbe fare, produrli entrambi o specializzarsi in uno? La sua risposta è si, deve comunque specializzarsi. Tra i due deve specializzarsi nella produzione dei beni che produce più efficientemente e lasciare agli altri la produzione dell’altro bene (anche se l’al tra nazione è meno produttiva). Riprendo l’esempio di prima, in questo caso avrò uno scenario differente: In tale scenario il Ghana è più produttivo nel realizzare entrambi. Dal grafico però è evidente come tale vantaggio rispetto alla Korea è più evidente per il cacao, su esso secondo Ricardo si dovrà quindi specializzare. Cambiano i dati: Le ipotesi sono quelle di prima. Nella prima 100 e 100, nella seconda il Ghana non ha 0 nel riso, delle 200 risorse 150 al cacao e 50 al riso, ciò perché non è specializzato nel riso ma è comunque più produttivo della Corea. I delta sono di nuovo tutti positivi rispetto alla prima ipotesi, quindi co nviene che io mi specializzo nella produzione dei beni per cui ho un vantaggio relativo. Ciò sicuramente funziona ma ci sono però una serie di assunzioni alla base: Una delle assunzioni che vengono fatte è quella le risorse si possono spostare agevolment e dalla produzione del riso a quella del cacao senza costi aggiuntivi necessari, in realtà le risorse non si spostano facilmente da una produzione all’altra. NB= Sia Smith che Ricardo hanno come variabile di riferimento la produttività del lavoro. HECKSC HER -OHLIN THEORY Vengono condivise le prime due teorie ma tuttavia la variabile rilevante per prendere tale decisione non è la produttività del lavoro quanto la “disponibilità di fattori della produzione”. Quindi io scelgo di specializzarmi nella realizzaz ione di quei prodotti che fanno utilizzo intensivo del fattore della produzione che è abbondante localmente (se ho una materia prima in abbondanza mi specializzo in ciò). TEORIA DEL CICLO DI VITA DEL PRODOTTO Vernon propone tale teoria, egli dice che la d inamica di importazione/esportazione da un paese all’altro è anche influenzata dal ciclo di vita del prodotto, aggiunge tale considerazione alle precedenti delle altre teorie (ovvero produttività e disponibilità delle risorse) che comunque lui sostiene. Bisogna tenere in considerazione il ciclo di vita perché se il prodotto è nuovo e poco conosciuto al consumatore io inizio a produrlo localmente, lui si focalizza sul mercato USA che prima era il più forte, egli dice che tutti i prodotti nuovi o quasi arriva no da li, succedeva che venivano prodotti li inizialmente venivano consumati solo all’interno del mercato usa, una volta recepiti dal mercato usa venivano esportati e c’era un primo impatto sul commercio internazionale, nelle fasi successive del ciclo di v ita del prodotto, quando si è il prodotto sviluppato ed è giunto ad uno stato di maturità il suo prezzo viene sicuramente cambiato e diventa fondamentale ridurre i costi di produzione, una delle prime scelte delle imprese è quella di delocalizzare la produ zione in paesi a basso costo di manodopera, ciò per gli usa significa che quelli che prima erano esportazioni diventano importazioni in quanto le produco in altri paesi. Quindi è importante guardare e considerare il ciclo di vita. NEW TRADE THEORY Fa par te delle due teorie più recenti. Le teorie di Smith e Ricardo rimangono il punto di partenza, Crugman ci dice che un aspetto importante nella spiegazione delle scelte di specializzazione è rappresentato dalle ECONOMIE DI SCALA e molto spesso la specializza zione non è spiegata nè dalla produttività, nè dalla disponibilità di fattori, ma semplicemente dal fatto che quel impresa su quel paese è stata la prima a realizzare quel prodotto/servizio, essendo stata la prima ha fatto una serie di investimenti, genera to una serie di economie di scala che altri ora non sono in grado di superare, quindi ci sono prodotti/servizi sulla quale esiste una sorta di dominio da parte dei paesi che sono stati first mover in quel mercato. Tale ragionamento vale soprattutto per que i prodotti per i quali ci sono alti costi fissi all’ingresso e la domanda globale non è così lontana dalla mia scala minima efficiente (cioè se io devo produrre un certo quantitativo di prodotti per essere efficienti ed esso è vicino alla domanda globale a llora è più probabile che la prima impresa/primo paese che si avventura in tale tipo di iniziativa ha un vantaggio competitivo ed è first mover e per le altre nazioni sarà più conveniente importare da tale paese). TEORIA DEL VANTAGGIO COMPETITIVO NAZI ONALE DI PORTER (Nota come diamante di Porter) Porter esamina 100 settori in 10 paesi e cerca di spiegare le ragioni del successo e del vantaggio competitivo del paese in quel particolare settore. Egli in pratica mette insieme tutto ciò detto dagli altri, dice che in realtà per spiegare il vantaggio competitivo di un paese nella produzione di un bene devi considerare più fattori: -disponibilità dei fattori; -le condizioni della domanda; -presenza di altre imprese a supporto; -strategia, struttura e il grado di competizione all’interno del reparto. Essi sono da considerare contemporaneamente. Tale DIAMANTE DI PORTER viene rappresentato così: Affinché una nazione abbia il vantaggio competitivo nell’esportazione di un bene tutti tali fattori devono essere favo revole, con un meccanismo anche di mutuo supporto tra un fattore e l’altro, nel senso che laddove uno dei fattori è favorevole anche gli altri tendono poi a rivelarsi positivi a supporto dell’impresa, il diamante si autorinforza. Oltre a tali fattori Porte r aggiunge: -una buona dose di fortuna (opportunità, chance); -il ruolo del Governo con le sue politiche. Analizziamo gli elementi del diamante: -DISPONIBILITÀ DEI FATTORI, Porter aggiunge una sorta di prioritizzazione, lui dice ci sono dei fattori più imp ortanti di altri, alcuni che sono base o ci sono o non ci sono (risorse naturali, localizzazione geografica, clima) e gli altri sono fattori aggiuntivi che se ci sono creano ancora più vantaggio (infrastrutture comunicative, disponibilità di soldi da inves tire nella ricerca). -CONDIZIONI DELLA DOMANDA, Porter dice che un paese ha vantaggio nella produzione di un bene per il quale i suoi consumatori per primi sono demanding e sofistica, quindi se i miei consumatori mi chiedono di più io tendenzialmente sarò più bravo a soddisfarli e realizzare quel prodotto/servizio (quindi se i miei cittadini per primi vogliono che sia bravo a realizzare quel bene io sarò portato a specializzarmi). -PRESENZA D= NON SOLO UN’=MPRESA BRAVA, come dicevamo prima il singolo/first mover determina il successo della nazione ma in casi rari, il successo della nazione si ha se l’impresa è inserita in un contesto che la supporti. -È importante che le Strategie di =mpresa, il tipo di Management siano a supporto e che ci siano all’interno della nazione un buon livello di competizione in quanto favorisce spinte all’innovazione. IMPLICAZIONI MANAGERIALI DI QUANTO DETTO FINO AD ORA Vediamo quanto detto fin ora cosa implica per le imprese che competono in un contesto globale. -PRIMA IMPLICAZIO NE, le loro scelte di localizzazione devono essere guidate dal ragionamento della specializzazione, io vado a localizzare le mie attività produttive nel paese che è la più brava per quel prodotto. -SECONDA IMPLICAZIONE, first mover advantages, essere first mover può avere un’implicazione positiva in termini di realizzazione delle economie di scala. -TERZA IMPLICAZIONE, ruolo del governo, investire in educazione, infrastrutture, ricerca, affinché si possa essere di supporto alla specializzazione. IL RUOLO D ELLA CULTURA NEL PROCESSO DI INTERNA ZIONA LIZZAZIONE DELLE IMPRESE L’impresa opera all’interno di un contesto, non può essere considerata un’unità assestante, mantiene sicuramente le sue caratteristiche ma le sue decisioni possono essere fatte solo prendendo in considerazione il contesto all’interno del quale essa si colloca. =l contesto più vicino all’azienda è rappresentato dai suoi stakeholders (portatori di vincoli che hanno un’interesse nei confronti dell’impresa e con cui l’impresa si mette in relazione). È un contesto nazionale e internazionale (abbiamo stakeholders internazionali oltre che locali), abbraccia tanti campi, legale, economico, ambientale, tecnologico. Dato che l’impresa si inserisce in un contesto è importante capire cosa si intende per CULTUR A, sistema di valori e norme condivise da un gruppo di persone che considerate congiuntamente costituiscono un modello di vita. La cultura spesso viene associata ad una società, non sempre società coincide con cultura, per esempio in Canada ci sono territo ri francesi, altri angloamericani. Spesso la cultura è rappresentata con la metafora dell’iceberg: =n quanto la cultura è rappresentata da delle sottocomponenti, definibili come strati, che dall’aspetto più visibile e tangibile di tale manifestazione cul turale vanno fino a quelli che chiamiamo ASSUNTI DI BASE di una cultura, tali assunti di base spesso sconosciuti si capiscono per esempio quando stiamo al contatto con altre culture, il confronto porta ad interrogarsi sugli assunti di base. Partiamo dal li vello più profondo della cultura, gli ASSUNTI DI BASE, sono delle condizioni di fondo riguardanti il modo in cui io concepisco la realtà, mi approccio con il mondo. Saliamo di un livello e troviamo i VALORI, essi mi dicono cosa io ritengo importante, giust o, normale. Saliamo ancora e troviamo le NORME o COMPORTAMENTI rispondono invece alla domanda quali comportamenti io mi aspetto, sono delle regole sociali che disciplinano le azioni tra le persone e definiscono dei comportamenti condivisi. All’interno dell e norme noi troviamo anche le TRADIZIONI e le USANZE, le usanze sono un po più stringenti in termini di disciplina, cosa uno deve fare e quando, le tradizioni invece sono delle routine che ci portiamo dentro nella vita di ogni giorno. Nella parte scoperta/ esterna dell’iceberg abbiamo gli ARTEFATT= o S=MBOL=, la manifestazione tangibile ed evidente di una cultura. DETERMINANTI DELLA CULTURA La cultura (che abbiamo detto essere l’insieme di norme, valori, simboli, usanze, tradizioni) si pone in relazione (vi ene influenzata e influenza) con alcuni aspetti del contesto in cui l’impresa è inserita: -STRUTTURA SOCIALE, si intende come la società è organizzata, la società ha al suo interno individui che possono essere organizzati in modo più o meno rigido in gru ppi stratificati in classi o caste (l’appartenenza ad una casta è stabilita alla nascita e non è previsto cambiare casta, il sistema delle classi è meno rigido (un esempio è l’=nghilterra middle class working class)). =l concetto di struttura sociale è imp ortante perché può provocare delle rigidità nel paese di riferimento, la Gran Bretagna è nota per scioperi e conflitti fra classi, quindi tale concetto di struttura sociale ha delle implicazioni a livello di impresa. Altro aspetto che riguarda la struttura della società e che ha implicazioni sulla cultura e sul fare business in un certo paese è il grado di individualismo o collettivismo che è tipo di una determinata cultura, ci sono culture fortemente individualiste (il singolo cerca di dare il meglio di se , come in america, forte conflittualità) e ciò può portare chi ne fa parte a non riuscire a sentirsi parte di un gruppo, di un’impresa, o culture collettiviste in cui l’aspetto più importante è il gruppo. -RELIGIONE, aspetto importante della cultura, ad es sa spesso associamo l’etica ed i valori che dovrebbero guidare il nostro comportamento. La religione ha un impatto sul fare impresa perché per esempio in ogni religione cambia il ruolo della donna, in certi paesi non possono far parte delle imprese. -FILOS OFIA ED ECONOMICA DOMINANTE. -EDUCAZIONE, il mezzo attraverso il quale gli individui imparano un linguaggio ma anche competenze e abilità, il mezzo attraverso il quale si imparano norme e valori della società, rappresenta un vantaggio competitivo (decido d i produrre dove so che c’è forza lavoro competente che è in grado di supportare le mie attività produttive. -L=NGUAGG=O, verbale e non verbale, l’inglese è la lingua globale praticamente, per alcune culture è importante che la mia controparte dimostri di c onoscere la lingua locale. Si parla di cultura anche a livello di imprese, se la società ha proprie abitudini, valori e tradizioni ogni impresa dentro una determinata nazione ha la propria cultura, la cultura aziendale, insieme di valori e norme condivisi a livello aziendale. La cultura aziendale è fortemente influenzata dalla cultura nazionale. :ofstede negli anni settanta era un dipendete e si è reso conto che seppure l’impresa fosse la stessa notava che dipendenti di filiali di posti diversi della sua s tessa azienda aveva implicazioni su come essi percepivano il ruolo di lavoro. Fa delle domande a tali persone e coglie come la cultura aziendale, il comportarsi dei dipendenti sul posto di lavoro, è influenzato dalla cultura nazionale. Egli identifica alcu ne dimensioni: -DISTANZA DI POTERE, come io individuo mi approccio alla gerarchia aziendale, ci sono culture più consapevoli del meccanismo della gerarchia. -INDIVIDUALISMO. -STIGMA NEI CONFRONTI DELLA DONNA. -UNCERTAINTY AVOIDANCE, quanto io accetto/evi to il rischio nel prendere decisioni. -QUANTO SONO ORIENTATO AL LUNGO TERMINE. -QUANTO SONO INDULGENTE RISPETTO ALLE DECISIONI PRESE. 22/10 CAPITOLO 15: STRATEGIE DI ENTRATA SUL MERCATO E ALLEANZE STRATEGICHE Vedremo come l’impresa sceglie di entrare in un mercato piuttosto che in un altro e le modalità con le quali fa effettivamente ingresso in tali mercati. Quindi un’impresa sceglie in quale mercato entrare, quando è il caso di entrare in quel mercato e in che misura (qual è la scala di internazionalizz azione). Queste sono 3 tipologie di decisioni, inoltre deve anche scegliere la modalità di entrata (il come) ed il ruolo delle alleanze strategiche (che sono una particolare strategia del mercato estero). 1) Partiamo dalla prima decisione, ovvero in QUALE MERCATO ENTRARE: Bisogna prendere in considerazione una serie di informazioni: -la dimensione del mercato rispetto ai potenziali consumatori; -la ricchezza presente e futura dei potenziali consumatori in quel mercato, ovvero valutata la dimensione valut o anche il potere di acquisto del consumatore; -costi e rischi associati all’ingresso in quel mercato (i primi costi da considerare sono sicuramente quelli di trasporto, dovrò fare una stima di quanto mi costa raggiungere il mercato x rispetto ad altri mer cati y,z magari meno ricchi ma più vicini). 2) La seconda scelta è QUANDO ENTRARE IN UN MERCATO: Il concetto è quello del FIRST -MOVER ADVANTAGES, le alternative sono due: -entro per primo, quando nessuno ha ancora offerto quel prodotto/servizio in quel mercato (first mover advantages); -lascio entrare altri per primi ed io li seguo (strategia del follower). Considero la prima, first mover, i vantaggi stanno nel fatto che io inizio a catturare la domanda, a creare un potere ed una conoscibilità attorno a l mio brand, inizio a soddisfare i consumatori, nel momento in cui io acquisisco parte della domanda questo significa che percorro anche la mia curva delle economie di scala e riduco i costi unitari in quanto aumento il volume di produzione cumulata. Inolt re posso ragionare strategicamente e mettere in piedi degli switching costs, ovvero, far si che il consumatore che ha iniziato ad utilizzare il mio prodotto/servizio abbia delle difficoltà, debba incorrere in costi nel momento in cui decide di passare al c ompetitor (ex: compagnie telefoniche). Il first mover ha però anche degli svantaggi: Essendo il primo deve sprecare del tempo e energie, fare sforzi economici, per comprendere le regole del gioco, per conquistare una fetta del mercato, e nel caso in cui non riesca deve sostenere dei costi di fallimento. Deve sostenere dei costi di promozione in quanto essendo nuovo devo farlo conoscere al consumatore, devo educare il mio consumatore a consumare e scegliere il mio prodotto, educarlo a questo nuovo tipo di abitudine, con il rischio che cambino le regole del gioco, per esempio cambi a livello normativo che mi impediscono di proseguire in questa avventura. 3) La terza decisione è LA MISURA IN CUI DECIDO DI ENTRARE IN UN DETERMINATO MERCATO, ovvero la scala di ingresso. Ho due possibilità: o entro in larga scala (mi butto con un quantitativo importante di prodotti/servizi che metto sul mercato, creo una catena distributiva dedicata, creo degli stabilimenti di produzione in loco) o una strategia più timida (ovve ro inizio a esportare qualcosa, poi magari metto un agente di commercio dedicato). L’ingresso su larga scala ha un impatto importante sulla competitività di un mercato, in quanto se mi butto a capofitto su un mercato i competitor sicuramente avranno una re azione avversa. Nel secondo caso invece cerco di imparare il funzionamento del mercato locale limitando la mia esposizione, gli svantaggi sono che la rieducazione del consumatore al mio prodotto per farmi scegliere avviene in maniera molto lenta in questo caso, inoltre un altro svantaggio è che il segnale che io do al consumatore è inferiore, in quanto se entro su larga scala do un segnale al consumatore, quello di volermi impegnare in quel paese, e in questo senso fornitori e clienti locali potrebbero darm i aiuto, nel secondo caso invece no. A queste 3 domande non esistono risposte ottime, dipende tutto dal tipo di business e di contesto. Come detto prima, superati questi 3 quesiti di carattere generale, la decisione successiva è il come, ci sono diversi mo di per internazionalizzarsi, per entrare in un mercato straniero. 1) La prima possibilità per entrare in un mercato estero è l’ESPORTAZ=ONE, i vantaggi di una strategia di export (produzione tutta concentrata in un posto e la vendita in altre località) so no:  evita il costo di stabilire degli impianti produttivi all’estero;  favorisce il raggiungimento di curve di esperienza, economie di scala e location economies (economie di localizzazione, ovvero scelgo di produrre qui perché mi conviene). Per quanto ri guarda gli svantaggi:  se il mio stabilimento produttivo non è efficiente, io potrei spostare la produzione all’estero e abbassare i costi;  alti costi di trasporto;  barriere al commercio. 2) La seconda modalità di ingresso in un mercato estero è il CONT RATTO DI LICENZA, ovvero un accordo in cui il licenziante cede i diritti di sfruttamento di una proprietà intangibile ad un’altra entità per un periodo determinato in cambio di un corrispettivo. Esso si riferisce quindi a proprietà intangibili, i brevetti, copyright, i marchi, quindi io soggetto detentore di un marchio/brevetto che voglio rendere il più presente possibile a livello globale non faccio nulla, non esporto, non creo stabilimenti produttivi, l’unica cosa che faccio è concedo a soggetti terzi la possibilità di utilizzare altrove quel brevetto/marchio a fronte di un corrispettivo. I vantaggi sono:  non devo sostenere costi per aprire uno stabilimento all’estero;  supero il problema dei dazi in quanto mi accordo con un soggetto già presente su quel mercato affinché lui possa utilizzare quel brevetto/marchio. Gli svantaggi sono che:  essendo intangibili sono asset delicati dell’impresa, molto spesso è in tali asset che si racchiude il vantaggio competitivo dell’impresa, darlo in concessione a terzi pu ò essere rischioso nel momento in cui non riesco a tenere sottocontrollo le sue strategie;  io detentore di tale asset intangibile non ho la possibilità di controllare e di gestire in maniera coerente e uniforme l’utilizzo di tale asset a livello globale i n quanto lo sto delegando a terzi;  l’azienda può perdere il controllo del suo brevetto, una possibilità per evitare questo è stipulare accordi di cross -licensing o joint venture, in quanto se entrambe le parti cedono qualcosa alla controparte si pongo a p ari livello di rischio e potere e quindi tenderanno a cooperare piuttosto che adottare comportamenti opportunistici, quindi se io ti cedo il mio brevetto e tu mi cedi il tuo a me non conviene darlo a disposizione a terzi, renderlo noto e pubblico. 3) FRAN CHISING, il franchisor vende la proprietà intellettuale e impone regole al franchisee. Ci sono alcune differenze importanti: -la prima rispetto al contratto di licenza (licensing), il quale viene attuato solamente da aziende manifatturiere, queste invece a imprese di servizi; -inoltre nel licensing io ti do in licenza la mia proprietà intangibile e tu a fronte del pagamento del corrispettivo puoi fare più o meno quello che hai voglia, nel caso del franchising io ti concedo l’utilizzo del mio marchio ma tu n on puoi fare più quello che ti pare e piace, devi sottostare ad una serie di indicazioni per la fornitura del servizio che io stabilisco, quindi c’è un livello in più del controllo, perché il franchisor stabilisce le modalità di utilizzo del marchio. Vanta ggi:  non ci sono costi e rischi per la capogruppo nell’aprire uno stabilimento di proprietà;  è veloce, aiuta a penetrare il mercato in modo abbastanza veloce. Svantaggi:  non c’è la possibilità di controllare in modo accurato la qualità del servizio offe rto e la soddisfazione del consumatore;  se i miei franchisor sono bravi in un paese ma non in un altro io non posso compensare gli utili ottenuti in uno con le perdite nell’altro o favorire uno scambio di conoscenze e competenze, in quanto, ciascun contra tto, ciascuna realtà è assestante. 4) HO=NT VENTURES, creo una società, cioè se due imprese vogliono collaborare creano un’entità giuridica assestante, una terza impresa, la quale è compartecipata dalla due aziende, una avrà un certo numero di quote e l’a ltra deterrà la restate parte delle quote (solitamente 49 e 51 per far si che almeno uno abbia la maggioranza minima). La joint venture diventa una modalità di entrata in un altro mercato nel momento in cui il partner con cui faccio la joint venture ha sed e in un mercato straniero e la joint venture la stabilisco in un mercato straniero. La prima impresa per esempio in =talia porta in dote conoscenze, tecnologie, competenze, l’impresa due che si trova per esempio sul mercato cinese porta in dote una conosce nza del mercato locale, una possibilità di accesso in un mercato locale (dei clienti, delle preferenze di essi, delle modalità di accesso ai finanziamenti bancari), la terza azienda avrà sede in Cina. Un altro vantaggio (oltre a giovare della conoscenza de l partner che fa già parte di quel mercato) è che condivido costi e rischi, ma anche considerazioni politiche (per esempio in Cina in alcuni settori se vuoi vendere li il tuo prodotto/servizio deve prima fare una joint venture con una società cinese). Svan taggi:  perdita del controllo sulle tecnologie/conoscenze/competenze che l’azienda che vuol fare la joint venture, che vuole internazionalizzarsi, porta in dote;  si tratta di una realtà assestante la terza impresa creata, quindi il mio controllo su tutto si riduce e mi trovo a gestire con un partner, e non sempre è semplice. 5) COSTITUZIONE DI UNA FILIALE DI PROPRIETÀ (WHOLLY OWNED SUBSIDIARIES), si articola in due alternative: -faccio un’operazione di GREENF=ELD, ovvero costruisco il mio stabilimento pa rtendo da zero in un host country; -BROWNFIELD/ACQUISIZIONE, non parto da zero ma acquisisco al 100% (o in maggioranza) una realtà operativa già esistente. Vantaggi dell’avere una filiale di proprietà:  riduce il rischio di perdere il controllo sulla propr ia tecnologia, vado la mi porto la tecnologia e la gestisco io;  mi permette di controllare le operations nel paese;  mi permette di sfruttare le curve di esperienza e di economia di localizzazione, in quanto gestisco io l’impianto produttivo e quindi ciò che imparo riesco ad internalizzarlo, inoltre per quanto riguarda le economie di localizzazione cercherò di localizzare il mio impianto dove ritengo essere più conveniente farlo;  100% dei profitti. Svantaggi:  costi che supporto da solo, ma anche le respo nsabilità;  ci possono essere problemi di integrazione in quanto se acquisisco una realtà già esistente mi conviene tenere chi già lavorava e ciò può creare delle incomprensioni. ACQUISIZIONE O GREENFIELD Vediamo più nel dettaglio la scelta tra ACQUISIZI ONE e GREENFIELD. Le acquisizioni sono più facili da eseguire inoltre può aiutare a prevenire i competitor, se faccio io quest’acquisizione i competitor non possono farla e io mi posiziono sul mercato. Può essere meno rischioso in quanto tendenzialmente è meno costoso l’investimento (costruire da zero sicuramente è più pesante economicamente). Le acquisizioni però spesso producono risultati non soddisfacenti, per esempio falliscono a causa di un clash culturale, inoltre a volte non valuto bene l’azienda che sto acquistando (perché voglio muovermi più velocemente dei competitor) e la pago più del valore effettivo. Per ridurre il rischio di fallimento posso eseguire operazioni dedicate in cui raccolgo informazioni, materiali sia direttamente dall’impresa che v oglio acquisire sia da soggetti terzi, inoltre posso cercare di ridurre l’attrito tra i top manager e predispongo un piano di integrazione che cerco di rendere effettivo. È più conveniente invece il greenfield quando voglio uno stabilimento che non sono in grado di trovare già esistente (ho esigenze legate al tipo di business che non mi consentono di poter acquisire stabilimenti esistenti). I tempi sono più lenti, ma è meno rischioso, in quanto è vero che si deve investire tanto ma poi non devo gestire i pr oblemi di integrazione, capire quanto effettivamente vale. Posso essere superato più facilmente dai competitor che si sono mossi più velocemente essendo tale processo non molto veloce. QUALE SCEGLIERE? L’ACQU=S=Z=ONE è preferibile quando: -voglio entrar e in un mercato in cui ci sono già delle imprese che fanno qualcosa di simile e che posso valutare di acquistare, ci deve essere un target per quell’acquisizione; -quando capisco che i miei global competitor si stanno muovendo per fare qualcosa su quel mer cato. Conviene il GREENFIELD quando: -non c’è un target, non c’è un’impresa che io possa acquisire; -quando il mio vantaggio competitivo è associato al mio modo di lavorare, in quel caso sarebbe difficile trasferire le mie skills e organizzazione alla soci età che potrei acquisire. TIPO DI COMPETENZA CHIAVE Altra variabile rilevante nella scelta del come entrare in un mercato piuttosto che in un altro è il tipo di competenza chiave che io ho: -se il mio vantaggio competitivo è legato a CONOSCENZE TECNOLOGIC HE allora meglio evitare contratti di licenza e joint venture in quanto il rischio di perdere tali conoscenze è alto, a meno che non so che un domani tale vantaggio tecnologico sarà superato non rappresentando più un vantaggio; -se il vantaggio è legato al tipo di GESTIONE meglio evitare le acquisizioni, ma piuttosto franchising in cui io sono chiaro rispetto al modello di gestione che voglio, oppure una joint venture. PRESSIONE PER LA RIDUZIONE DEI COSTI Essa è un’altra variabile da considerare, se io sub isco a livello globale una forte pressione per la riduzione dei costi allora è più facile che combini esportazioni con filiali di proprietà, quindi decida di collocare le mie filiali di proprietà in hub strategici dai quali vado poi ad esportare. RIASSUNT O: ALLEANZE STRATEGICHE Le alleanze strategiche sono una modalità di internazionalizzazione che in parte si sovrappone alle modalità di entrata appena viste ma in parte no. Si sovrappone perché accordi di licenza e le joint venture possono essere c onsiderate delle alleanze strategiche, ma le alleanze strategiche sono anche altro, sono accordi informali di cooperazione tra due soggetti partner, due società (magari anche competitor) che hanno interessa a fare un investimento comune in ricerca e svilup po e quindi stringono un’alleanza strategica. Vantaggi: -facilitano l’entrata nel mercato strategico, in quanto mi muovo in modo informale; -no costi fissi associati; -metto insieme capacità di tipo complementare; -riesco ad innovare ed essere all’avanguar dia rispetto agli standard tecnologici. Il rischio è che i competitor o agiscano nel mio stesso modo e siano più veloci di me oppure si approfittino in modo opportunistico dell’alleanza strategica stretta. Vediamo come gestire al meglio un’alleanza strat egica, che sappiamo essere sicuramente in certi casa pericolosa: -selezionare un buon partner, esso devo aiutarmi a raggiungere i miei obiettivi strategici, deve avere competenze e capacità che la mia azienda non ha, devo scegliere un partner di cui mi fid o e che so non adotterà comportamenti opportunistici; -lo scelgo raccogliendo più informazioni possibili, ascoltando terze parti, e cercare di conoscerlo magari tramite progetti pilota, accordi sperimentali, prima di stipulare l’accordo. L’alleanza può ave re una struttura, può essere più o meno strutturata, più o meno formale, un po di struttura data all’alleanza riduce i rischi opportunistici. =noltre per gestire un’alleanza è importante prestare attenzione alle differenze culturali, creando fiducia e impa rando il più possibile dal partner. UPPSALA MODEL Abbiamo parlato di entrata nei mercati esteri, ci sono diversi approcci teorici all’entrata nel mercato estero, come le imprese scelgono di entrare, uno di questi è il UPPSALA MODEL, la prospettiva rispe tto all’entrata nei mercati esteri è che le scelte di internazionalizzazione arrivano in maniera graduale, ovvero le imprese prima iniziano ad importare/esportare, si spostano poi verso alleanze strategiche, passano poi al meccanismo della joint venture e solo come ultimo step si spingono a fare investimenti all’estero, ovvero o acquisizioni o stabilimenti di proprietà. Quindi si reputa che il processo di internazionalizzazione debba avvenire per step, al fine di evitare i rischi e di invece effettuare un p ercorso di crescita e apprendimento. MODELLO DELL’APPROCC=O GLOBALE Secondo tale approccio le imprese valutano in simultanea tutte le alternative a propria disposizione e scelgono andando a valutare benefici e svantaggi di ciascuna. MODELLO GERARCHICO DI INGRESSO IN UN MERCATO ESTERO Secondo tale modello le imprese attivano un processo cognitivo decisionale che le porta dapprima a fare una scelta tra: mi voglio impegnare in una modalità di investimento che prevede capitale (investimento di equity), op pure mi voglio impegnare in una modalità che non prevede investimento di capitale (che non preveda la partecipazione del capitale dell’impresa). Una volta superato tale scoglio cognitivo (scelgono cosa e quanto vogliono rischiare), valutano il ventaglio di alternative relative alla modalità da loro scelta, nel caso delle NON EQUITY MODES abbiamo: -esportazione, diretta (io con i miei commerciali vado a vendere in un mercato estero) o indiretta (tramite agenti o distributori); -accordi contrattuali, quali li cenza, franchising, alleanze strategiche. Nel caso di EQUITY MODES (modalità che prevedono investimento di capitale): -joint venture; -sussidiaria di proprietà (greenfield o acquisizione). 29/10 CASO DI STUDIO: LOUIS VUITTON MODELLO CANVAS Framework, ins ieme di blocchi, che descrive il modello di business di un’organizzazione, vediamo una serie di parole per descrivere cos’è un modello di business: -strategia; -obiettivi; -skills; -mercato; -prezzo. Tale modello di business viene descritto dal creatore di tale modello come un’organizzazione/blackbox che crea valore, distribuisce valore e trattiene valore, per lui la parola chiave è VALORE. Quindi un modello di business descrive come un’azienda crea, distribuisce e trattiene valore. È composto da 9 block: -Partner chiave; -risorse chiave; -attività chiave; -struttura di costo; -value propositions; -canali; -relazioni; -segmenti di mercato; -revenue streams. Ostervalder, il creatore di tale modello, ci dice il punto di partenza per poter progettare/riproget tare un business è quello di partire dal MERCATO/CUSTOMER SEGMENTS, cioè capire chi vogliamo servire, quali clienti/segmenti di mercato, in funzione di ciò declino in modo specifico qual è la mia VALUE PROPOSITIONS se parto da una start up, se invece realt à già avviata e voglio per esempio servire in Spagna cerco di capire quali sono i customer segments che voglio servire per poi vedere se la mia value propositions è allineata oppure devo modificare qualcosa (per esempio Sturbacks quando ha aperto in Cina h a introdotto il the). Devo quindi capire se quel customer segments c’è qualcosa che reputa una necessità per poi inserirla in termini di value propositions e vendergli questo aspetto della cultura, quindi cambiare la value propositions in relazione al cust omer segments che sono il punto di partenza. Il secondo punto è la VALUE PROPOSITIONS, parto dal costumer quindi a chi offro per arrivare a tale secondo punto, cosa offro. Il terzo è il CANALE che usiamo per parlare per parlare con loro, in quanto per esem pio in passato si è passato ai canali digitali, oggi dando i canali per assodati, si considera la REVENUE STREAMS cioè cosa mi dai in cambio quando ti do quel qualcosa, in quanto oggi si punta sulla SUBSCRIPTIONS in quanto tanti prodotti si stanno trasform ando in servizi (spotify, non compro più musica ma mi abbono ad una canale che me la fornisce iscrivendomi e pagando una quantità fissa). Poi canali, relazioni, e quelle della parte sinistra. Nel caso di Louis Vuitton abbiamo visto come in certi casi dei c ustomer segments diventano dei canali, in quanto LV ha 3 segmenti: ABSOLUTE (ricchi), ASPIRATIONAL (famosi) e ACCESSOR (normali), e per i normali gli aspirational sono un canale (per LV sono un segmento ma anche un canale per un altro segmento). 05/11 CAP ITOLO 13: STRATEGIA DI ESPANSIONE GLOBALE Guardiamo oggi alla scelta dell’impresa di diventare internazionale, e affrontiamo tale scelta non tanto dal punto di vista operativo ma da un punto di vista strategico. Ciò perché la scelta di internazionalizzars i è una scelta strategica, ha un impatto sulla strategia complessiva dell’impresa. Per strategia si intende la visione di lungo periodo dell’impresa, insieme di azioni che permettono all’impresa di raggiungere i propri obiettivi (l’obiettivo è generare val ore, quindi è il modo in cui l’impresa genera valore) e cerca di essere sostenibile nel tempo. La scelta di internazionalizzarsi può contribuire di certo a generare valore. L’impresa genera valore generando dei profitti, e facendoli crescere nel tempo, per aumentare l’utile o aumento i ricavi o diminuisco i costi: Inoltre importante è che tali profitti crescano nel tempo, per farli crescere di più o vendo nel mercato in cui servo di più o entro in nuovi mercato, a fronte di ciò la strategia di internazion alizzazione diventa chiave. Quindi la scelta di internazionalizzarsi è una scelta strategica che permette di generare valore e che tale valore sia sostenibile nel lungo periodo. VALORE DELL’=MPRESA Partiamo dai costi che l’impresa sostiene per fornire un prodotto/servizio, l’impresa ci aggiunge un mark up e determina il prezzo di vendita. Prezzo -costo sostenuto ci dà l’utile/profitto, il valore non corrisponde al prezzo per forza, ma è superiore rispetto al prezzo, è l’utilità che il cliente percepisce in quel prodotto/servizio. Quindi l’impresa deve ragionare su ciò tramite la strategia, far percepire al cliente un valore sempre più elevato e cercare di catturare la maggior parte di tale valore accrescendo gli utili, ovvero, aumentando i prezzi, se io impr esa posso permettermi di aumentare i prezzi e quindi catturare quasi tutto il valore percepito dal cliente allora sono in una posizione di vantaggio competitivo. La differenza tra prezzo e valore dipende proprio dall’intensità della competizione all’intern o del mercato, quanto più alta è la competizione tanto più ci sarà un delta tra valore e prezzo in quanto io impresa mi devo accontentare di un prezzo inferiore rispetto al valore percepito dal cliente. L’impresa quindi ha un vantaggio competitivo se riesc e a catturare la maggior parte di tale valore imponendo prezzi elevati che i clienti sono disposti a pagare. STRATEGIA L’impresa deve fare delle scelte strategiche, deve definire una scelta di posizionamento strategico, deve definire in che modo creare va lore. Secondo Porter le due principali scelte di posizionamento strategico sono: -ridurre i costi a parità di prezzi; -aumentare il prezzo a parità di costo. Mentre faccio tale scelta devo essere cosciente di due cose: tale scelta deve essere coerente con la struttura organizzativa dell’impresa e con le sue operations, ovvero le attività tipiche che caratterizzano la catena del valore dell’impresa. FRONTIERA EFFICIENTE Abbiamo su un’asse (y) la strategia di differenziazione, la massimizzazione del valore, più vado in alto più valore sono in grado di generare, sull’asse x la strategia di low cost/riduzione dei costi (più vado verso destra più i costi si riducono). L’impresa è tanto più efficiente quanto si posiziona in prossimità della frontiera, al limite d i essa: Quindi deve posizionarsi dentro l’area ma meglio sulla frontiera. Una volta scelto il posizionamento deve coerentemente scegliere la sua struttura e come organizzare le sue operations. La frontiera viene rappresentata in tale modo per la legge de i rendimenti marginali decrescenti, ovvero, se voglio aumentare il mio valore generato al massimo (nel punto in cui la frontiera interseca l’asse y) i costi aumentano inizialmente in maniera consistente, superato un certo punto l’aumento di costo che io ho non è così rilevante. Ma anche, se voglio ridurre al massimo i costi in una prima fase la perdita di valore è abbastanza contenuta, ma per riduzioni ulteriori diventa consistente. =nfatti l’ultima parte della frontiera, quella dopo il segmento verticale c he indica la prof con la penna, non è sostenibile. OPERAT=ONS= Attività interne all’impresa che contribuiscono alla generazione del valore, spesso sono rappresentante con il concetto di CATENA DEL VALORE: Ci sono delle attività all’interno dell’impresa definite primarie, e delle attività di supporto, ciascuna aiuta a creare valore e deve essere strutturata in modo da essere coerente con la strategia complessiva. GLOBAL EXPANSION, PROFITABILITY AND PROFIT GROWTH L’espansione internazionale ha un impatto sulla strategia, sulla capacità dell’impresa di generare valore. Ci sono 4 aspetti attraverso i quali la strategia di internazionalizzazione impatta la capacità dell’impresa di generare valore. -L’internazionalizzazione permette all’impresa di espandere i mercato di riferimento, di vendere più prodotti e servizi, e quindi aumentare i miei ricavi a parità di prezzo. Inoltre su tali nuovi mercati posso offrire non solo i miei prodotti/servizi ma anche le mie competenze e laddove i competitor in quei mercati non hanno quel tipo di competenze posso ottenere un vantaggio distintivo. Quindi la prima modalità per generare valore tramite la strategia di internazionalizzazione è espandersi in nuovi mercati portando beni o servizi ma anche le mie competenze distintiv e. -=l secondo aspetto attraverso cui l’internazionalizzazione influisce sulla strategia dell’impresa è chiamato EFFETTO DI ESPERIENZA, questa è la curva di esperienza: Essa ci dice che all’aumentare della produzione cumulata si riducono i costi unitari , ciò perché da un lato c’è un effetto di economie di scala (i costi fissi vengono distribuiti su una quantità maggiore di prodotto) e ovviamente maggiori sono i mercati serviti maggiore è il valore di produzione cumulata che andrò ad effettuare e quindi p iù facilmente riesco a spostarmi lungo la curva. L’altro aspetto è quello delle economie di apprendimento o effetti di esperienza che io riesco a curare nella prima parte della curva soprattutto, in quanto man mano che aumento la mia produzione cumulata acquisisco competenze/capacità, mi specializzo nella realizzazione di quel prodotto/servizio e ciò favorisce una riduzione dei costi unitari in quanto divento più bravo, veloce, nel realizzare la stessa mansione. Quindi tale curva cattura da un lato gli aspe tti tipi delle economie di scala, aumento la produzione i costi fissi si spartiscono su un numero più elevato di prodotti/servizi, dall’altro cattura questo effetto apprendimento, più produco più divento bravo a farlo, aumenta quindi la produttività del la voro. L’internazionalizzazione ha un impatto su tale effetto perché se io raggiungo un mercato più ampio sono più veloce a percorrere la curva, la mia produzione cumulata aumenta e io ho la possibilità di percorrere la curva con maggiore rapidità rispetto ad agire sul solo mercato domestico. -ECONOM=E D= LOCAL=ZZAZ=ONE sono il terzo aspetto, per esse si intende la capacità dell’impresa di andare a produrre il prodotto/servizio/componente del prodotto nell’area geografica, nel mercato, in cui io riesco a min imizzare i costi o massimizzare la qualità/valore di tale prodotto, ciò ovviamente riesco a farlo se ho la possibilità di muovermi a livello internazionale, quindi la capacità di internazionalizzarsi aumenta la possibilità di usufruire di tali economie di localizzazione. -=l quarto aspetto attraverso il quale l’internazionalizzazione impatta sulla strategia è la GEST=ONE DEL FLUSSO DI CONOSCENZA, se io opero in una sola realtà che ha dei confini domestici il flusso di conoscenza è limitato a tale realtà, se ho filiali sparse nel mondo e ciascuna ha il proprio obiettivo devo gestire il flusso di conoscenza e posso creare valore tramite la gestione di questo flusso di conoscenza, in quanto ogni filiale è portatrice di competenze specifiche che se io sono in gr ado di valorizzare e condividere con il resto dell’organizzazione ciò mi genera vantaggio competitivo. STRATEGIA DI ESPANSIONE GLOBALE Esistono 4 strategie di espansione globale, ovviamente sono delle basi, le strategie delle imprese non rientrano pe rfettamente in questi 4 tipi, si basano magari su di essi ma presentano degli elementi di unicità da impresa a impresa. Bartlett e Ghoshal le hanno identificate utilizzando una matrice le cui dimensioni sono: -pressione di riduzione dei costi; -pressione a ll’adattamento locale. Quindi tali 4 strategie nascono dalla considerazione che io decido come affrontare la mia espansione globale a seconda di due fattori che caratterizzano la mia impresa, il mio modello di business, il primo fattore è quanta pressione io percepisco per la riduzione dei costi, l’altro fattore che prendono in considerazione è la pressione per l’adattamento locale (a seconda del mercato locale il consumatore può essere più o meno attento rispetto a determinate caratteristiche che quel prod otto/servizio devono avere nello specifico, in quanto anche se c’è una globalizzazione dei gusti dei consumatori permangono comunque delle differenze importanti, legate per esempio ad aspetti religiosi, per esempio le macchine in Inghilterra il volante a d estra, in India no carne). Vediamo tale MATRICE DI BARTLETT E GHOSHAL: A seconda di come tali due dimensioni si combinano abbiamo una diversa strategia. Nessuna pressione STRATEGIA INTERNAZIONALE, entrambe le pressioni STRATEGIA TRANSAZIONALE. Alta pres sione di adattamento locale bassa pressione alla riduzione dei costi STRATEGIA DI LOCALIZZAZIONE, il contrario STRATEGIA DI STANDARDIZZAZIONE GLOBALE. STRATEGIA DI STANDARDIZZAZIONE GLOBALE Pressione alla riduzione dei costi, non mi interessa di adattarm i ad un certo mercato, l’obiettivo è offrire un prodotto con prezzi bassi e quindi di contenere i costi. Molto importante è il ruolo giocato dalle economie di scala, economie di localizzazi one, effetti di apprendimento, e non è necessario castomizzare il p rodotto. Con tale strategie solitamente tutte le attività della catena del valore sono concentrate in una determinata sede o in :ub a livello regionale, in quanto l’obbiettivo è creare economie di scala, economie di apprendimento, concentrando le attività. STRATEGIA DI LOCALIZZAZIONE È l’opposto, il consumatore è disposto a pagare anche un prezzo più elevato purché il prodotto risponda perfettamente ai suoi bisogni, i bisogno sono differenziati in base all’area del globo considerata. Tale strategia ha sens o nel momento in cui il valore che io offro al consumatore in quel determinato mercato viene compensato dal fatto che il consumatore è disposto a pagare un prezzo elevato, altrimenti non è sostenibile. Se mi chiede di adattarmi alle sue necessità specifich e ed in più devo essere anche in grado di contenere i costi si crea una situazione che è quella della STRATEGIA TRANSAZIONALE, la più complessa, devo essere sia in grado di ridurre i costi sia di accontentare il consumatore locale che mi chiede delle speci fiche. La chiave che può rendere tale strategia seppur complessa sostenibile è la gestione della conoscenza, tale fenomeno dell’apprendimento globale, quindi devo essere in grado di generare sinergie all’interno dei vari mercati in cui opero, raccogliere l e best practices all’interno di ciascuna area geografica, farle mie e centralizzarle, ed infine condividerle affinché diventano le best practices di tutta l’organizzazione. STRATEGIA INTERNAZIONALE Non hanno pressioni, tali imprese solitamente non avendo pressione centralizzano alcune funzioni chiave (spesso quella di ReS) e possono pensare di decentralizzare in altre aree geografiche che ritengono di