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Biomedical Engineering - Biomeccanica
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BIOMECCANICA Usiamo un approccio mutuabile da tutte le scienze ingegnerie più classiche. LEZIONE 15/09/2022 Studiamo il modo in cui i bio -tessuti guidano la progettazione delle protesi. Chip: è un oggetto nel quale faccio culture o analisi cellulare per trovare un piccolo pezzo di tessuto. Lavorando su scala più piccola si spreca meno materiale. Enzimi: sono proteine che rendono più facile una determinata funzione. Per esempio, alla lisina può essere attaccato uno zucchero. Un batterio ha s viluppato un enzima che taglia il legame tra amminoacido e zucchero. LEZIONE 16/09/2022 I MATERIALI BIOLOGICI DI BASE Si inizia considerando la matrice extracellulare , che è tutto ciò che sta al di fuori della cellula. È l’impalcatura su cui i tipi cellu lari vivono. Dal punto di vista biomeccanico le cellule sono oggetti scarsamente adatti a resistere alle sollecitazioni del mondo esterno. Le cellule hanno un comportamento biomeccanico che a livello del tessuto può essere trascurato . Gli elementi base della matrice cellulare sono gli atomi di idrogeno, di ossigeno, di carbonio e di azoto. Insieme rappresentano il 99% dei tipi atomici presenti nel nostro corpo. Gli altri elementi sono presenti in proporzione molto minore. L’organismo è fatto soprat tutto d i grassi e proteine. Le proteine sono fatte da amminoacidi, costituiti da azoto, due carboni e ossigeno. Il carbonio alpha è collegato al gruppo funzionale. L’altro carbonio è collegato al carbonio alpha ed è legato all’ossigeno e ad un ossidrile ( gruppo OH ) che si perde quando questo amminoacido si lega all’amminoacido dopo di lui. Il legame peptidico è perdita di un ossidrile e perdita di un idrogeno e produzione di una molecola di acqua. Gli amminoacidi si assemblano a formare dei polipeptidi ch e si organizzano in proteine che costituiscono i tessuti. L’Ashby map è un o schema dei generici materiai in funzione di un parametro meccanico, ovvero il modulo elastico. Dice quanto materiale si consuma per fare un tessuto in funzione delle sue prestazion i meccaniche. Questa mappa ha valutato diversi materiali: non solo quelli di natura ingegneristica . Qui dentro ci sono anche i materiali biologici. Quello che si vede è che i materiali ingegneristici sono quelli che hanno un uso del materiale molto elevat o: così si raggiungono alti valori di modulo elastico. I materiali biologici , invece, hanno densità dell’acqua. Il loro successo non risiede nel materiale ma nel modo in cui i materiali si assemblano a formare i tessuti. STRUTTURE FONDAMENTALI 1.Cellulosa 2.Chitina 3.Fibroina 4.Collagene : la proteina strutturale fondamentale nel regno animale. È pr esente nelle ossa, nella pelle, nella cartilagine . Il modo in cui si assembla è diverso, perciò dà proprietà meccaniche diverse. I materiali biologi ci hanno densità di 1 mg/ 3. È la densità dell’acqua perché densità minore determina uso minore di materiale. Questo comporta risparmio di energia nel produrre tessuto, nel muoverlo e nel degradarlo. In questo caso la mancanza di materiale ha grande imp ortanza strutturale ( esempio: la porosità dell’osso). Troviamo il collagene in: • Strutture altamente deformabili con basso modulo elastico • Tessuti con modulo elastico intermedio • Tessuti rigidi con elevato modulo elastico La molecola è sempre la stessa ma interagisce con le altre molecole in modo diverso: questo è il motivo della diversa funzione meccanica del tessuto. La maggior parte delle strutture biologiche deputate a resiste re o trasmettere carichi sono realizzate da componenti fibrose. La ragione risiede probabilmente nel fatto che la sintesi di lunghe catene basate su C, O, N e H (aminoacidi e zuccheri) è la strategia di assemblamento più semplice nell’ambiente cellulare e la loro sintesi è facilitata da enzimi che sono particolarmente efficaci quando lavorano su strutture a catena semplice. Il collagene come tutte le strutture biologiche è caratterizzato da carbonio, idrogeno azoto e ossigeno. Lo zucchero è un anello di cinque atomi di carboni o e un atomo di ossigeno. Nel caso di zuccheri più complessi il carbonio si attacca anche ad un gruppo funzionale. il gruppo funzionale d à il particolare comportamento (idrofobico o idrofilo ). Una proteina funziona in un certo modo solo se ha la sua struttura specifica. La parte di sintesi lineare è l’azione più semplice che si conosce. La catena lineare che ha spontaneamente la capacità di foldarsi da sola era energicamente la soluzio ne migliore. L’azione di sintesi è facilitata da alcuni enzim i specific i per l’operazione. Queste catene lunghe possono fare un ripiegamento : in realtà le proteine da sole difficilmente funzionano bene. La proteina funzionale deriva dall’aggregarsi di diverse proteine dello stesso tipo . Una conseguenza dell’uso di strutture fibrose per realizzare composti è l’ anisotropia del risultato finale sia dal punto di vista organizzativo sia di risposta meccanica. Se opportunamente organizzata una struttura anisotropa può essere dotata di elevata ottimizzazione (spesso maggiore di quella di strutture isotrope e di materiali omogenei). La resistenza meccani ca viene così a bilanciare il carico applicato non solo in modulo ma anche in direzione. STRUTTURE FIBROSE Le forme più utilizzate sono quelle con due o tre unità. Uno dei modi di assemblarsi di una catena molecolare è quella di formare una fibra, ovvero aver uno sviluppo preferenziale in una direzione. Il filo che esce dal ribosoma si unisce ad altri fili e si avvolge ad elica per formare una struttura lungo un particolare asse: una struttura fibrillare. Il modo in cui si assembrano dà origine ad una str uttura fibrillare. Difficilmente strutture globulari hanno un comportamento meccanico. Più facilmente strutture fibrillari sono alla base di organi in grado di resistere a sollecitazioni meccaniche. All’interno delle cellule la struttura fibrillare può ess ere utilizzata per fare delle strutture intracellulari in grado di resistere ai carichi. La cellula secerne il collagene e lo depone dove è più utile. Le direzioni nelle quale il collagene è stato disposto sono le linee di direzione del carico dove si trasmettono le sollecitazioni. Le cellule deputate alla deposizione del collagene depongono il collagene dove serve, ovvero dove viene trasmesso il carico. Il vantaggio è quello di risparmiare materiale e avere parte resistente per l’osso solo dove serve. Se una struttura mantiene la sua densità totale può avere delle resistenze meccaniche. Nell’osso c’è il collagene ma non si trova depositato allo stesso m odo. In relazione della funzione specifica ha una direzione e densità specifica . Le fibre non resistono alla compressione. Per ovviare il problema è necessario: 1. precaricare le fibre con uno stato di sollecitazione di trazione in modo che difficilmente (in condizioni fisiologiche) debbano lavorare a compressione 2. introdurre fasi minerali (inorganiche) caratterizzate da elevato modulo e intimamente connesse alla fase fibrosa 3. stabilire e promuovere la formazione di legami laterali che inducano stabil ità laterale . Se una molecola è da sola non resiste: ma se vicino ci sono altre molecole con un legame trasmettono la compressione, questa interazione può indurre una capacità di resistere alla compressione. 4. cambiare l ’orientazione delle fibre in modo c he la sollecitazione di compressione non agisca lungo l’asse della fibra. In questo modo con tante fibre e con strati concentrici di fibre diverse inclinate , nel complesso, la struttura resiste alla compressione. Tra i materiali biologici di base: 1. Collag ene 2. Elastina 3. Cheratina Nel citoscheletro, formate da tante unità di monomeri 4. Actina 5. Tubulina Negli insetti 6. Resilina : permette ai grilli di saltare . Quando arriva lo stimolo la resilina si allunga facendo muovere l’arto dell’insetto da piegato a dritto. Spontaneamente la resilina si ripiega per permettergli di saltare. Dipende da una proteina . Poi ci sono 7. Proteoglicani e glicosamminoglicani : sono oggetti fatti da zuccheri e proteine. Contengono una lunga parte di zucchero e una piccola parte di amminoacido . 8. Acqua 9. Componente minerale : idrossiminerale COLLAGENE È prodotto sul reticolo endoplasmatico e viene prodotto come una catena dai ribosomi . Non esiste una sola catena: la struttura primaria d ella proteina non è unica nel collagene, ma esistono trentatré catene diverse. Queste catene, per formare una fibra si assemblano con altre catene per fare una molecola di collagene . Il prodotto dei ribosomi si chiama catena α, perché ha un leggero andamento elicoidale. L’elica α hai il suo passo. Per formare la molecola di collagene s i assemblano tre catene . Ci sono 33 3 combinazion i possibili per assemblare le catene, ma in natura ne esistono solo 19. RIASSUNTO A livello del ribosoma viene sintetizzata una catena α. Questa catena è la specifica sequenza di amminoacidi . Da altri ribosomi vengono prodotte altre catene α che si legan o alla prima. Un’ulteriore catena α si lega al complesso: questa è la molecola nascente. Esistono 33 catene α differenti, e della combinazione di tre catene per volta ci sono in natura solo 19 fibre . COLLAGENE FIBRILLARE È il collagene che riesce a formare delle fibrille. Questo tipo collagene è di diversi tipi , che vengono distinti dai numeri. Si chiamano con la lettera romana: alcuni hanno una struttura etero -trimetra , oppure possono avere una struttura omero -trimetra . Una fi brilla è una somma di tante molecole: la molecola è una sommatoria che va da uno a tre catene. La fibrilla è formata da collagene dello stesso tipo. Nella seconda colonna c’è scritto come si assemblano le catene. 1. La catena di tipo I è in grado di assemblarsi con altre catene uguali a formare delle fibrille . Successivamen te si forma una fibra. 2. Il collagene di tipo II ha come catena la α1(II) . Per il tipo due esiste solo questa catena. Si assembla con altre due catene α1(II) . Si trov a nella cartilagine e si assembla a livello fibrillare, diventando più grande. Le cellule della cartilagine secernono molto collagene di tipo due. 3. Il collagene d i tipo III è un’unica catena specifica : è un α1(II I) e forma la struttura prendendo α1(II I) tre volte. La differenza tra i tre tipi sta nelle catene che lo formano . Il collagene di tipo I è etero -trimetra . Il collagene di tipo II e III può avere solo un assemblamento di tipo omo -trimetra . Non c’è il collagene di tipo IV perché non forma fibri lle. LEZIONE 20/09/2022 La struttura primaria del collagene è una sequenza di amminoacidi che forma una catena, detta catena α. α riflette la caratteristica ad elica della catena. Sono riconosciute 33 catene alpha, e potrei avere 33 3 combinazioni di catene, ma in natura ne esistono solo 19 . COLLAGENE FACIT I collageni che si associano in fibrille ma hanno una struttura a tripla elica interrotta. In alcune zone della struttura la tripla elica è interrotta. Per esempio, nel collagene di tipo IX si vedono tre catene assemblate in maniera etero -trim etra. Il collagene XII è composto da un’unica catena α che si assemblano in una catena omo -trimetra . Per la sottofamiglia del collagene fibrillare si è abbastanza sicuri della struttura, questi sono collageni di tessuti pochi studiati o che si trovano i n concentrazioni molto basse ma appartengono a questa sottofamiglia. COLLAGENE A CATENA CORTA Si trova nella membrana basale delle cellule endoteliali. Hanno una particolare conformazione: questi collageni a catena corta formano un reticolo esagonale. COLLAGENE MULTIPLEXIN Assomigliano al FACIT : queste però hanno tante piccole porzioni di struttura lineare a tripla elica e poi ci sono delle interruzioni. Non c’è un taglio della proteina, ma una struttura bitorzoluta. COLLAGENE MACIT Collagene che si associa alla membrana con struttura a tr ipla elica interrotte. Sono poco presenti, ma distribuite in tantissimi tessuti . COLLAGENE DELLA MEMBRANA BASALE Al di sotto delle cellule endoteliali si può trovare il collagene di tipo IV che è caratterizzato da sei catene alpha . Formano delle maglie poligonali: non c’è una geometria caratteristica. ALTRI TIPI DI COLLAGENE Sono collageni che non ricadono in nessuna di queste categorie. RIASSUMENDO Il collag ene è una grande famiglia di molecole che si divide in sottofa mig lie che si distinguono in tipi che formano fibrille, fibrille interrotte e strutture non fibrillari . → fibrillare → FACIT → MACIT → multiple xin → catena corta → altri Il collagene di tipo I è il collagene principale ed è presente al 90% nel corpo umano, perché è l’unità molecolare più utilizzata in tutti i tessuti in cui è previsto un supporto o una funzionalità di supporto. STRUTTURA BASE DEL COLLAGENE La sua struttura base (primaria) del collagene fibrillare è da ta dalla glicina legata a d altre sostanze : questo blocchetto base si ripete − ������ lungo la catena. La glicina si lega a due amminoacidi. Formando questa catena la glicina si lega ad amminoacidi necessari a formare la catena α specifica per quel ti po di collagene. X e Y possono essere qualsiasi tipo di amminoacido, ma molto spesso sono prolina e idrossiprolina. La differenza è che l’idrossiprolina è prolina idrolizzata. I residui alternativi per la X sono la fenilalanina , la leucina e l’ acido glutammico . Per la Y sono la arginina e la lisina . La glicina è così fondamentale grazie al suo gruppo funzionale , ovvero l’idrogeno che è l’atomo più piccolo a disposizione . Questo dà una grande mobilità alla catena α che si sta sintetizzando. Con una s truttura più rigida, per esempio con un gruppo funzionale più ingombrante , sarebbe ostativo ad una catena che esce dal ribosoma. La glicina è poco ingombrante . Ogni due amminoacidi è presente questo amminoacido molto piccolo che consente un leggero ripieg amento elicoidale, seguito dalla prolina e dalla idrossiprolina. La prolina e l’idrossiprolina sono amminoacidi che vanno a fissare la catena e si riesce ad avere in questo modo una struttura elicoidale stabile. Quello che tiene insieme le eliche sono i leg ami idrogeno intra - catena. Il collagene non è caratterizzato dalla presenza del legame idrogeno all’interno della sua struttura , a differenza della catena α. Ciò che dà un andamento elicoidale al collagene è l’alternanza tra la mobilità della glicina e quella degli altri due amminoacidi. Le catene α si associano a formare collagene o tropocollagene. Le tre molecole α si assemblano a formare una struttura lineare che si estende per 300 . La molecola di collagene vista in sezione si vedrebbe un diametro di 1.5 . Queste catene α hanno la capacità intrinseca di auto assemblarsi a formare il collagene. Dopo essere uscite dai ribosomi si assemblano con la catena a ffine e si avvolgono a formare una tripla elica . Il collagene di tipo I ha una struttura etero -trimetra . Questo è vero nel 95% del collagene di tipo I. Il restante 5% ha una forma omo -trimetra; quindi, è formato dalla stessa catena alpha. Questa cond izione viene associata a patologie. Tra una catena α e l’altra si possono formare dei legami di tipo idrogeno. Le triple eliche adiacenti (o molecole di collagene adiacenti) sono legate tra di loro a formare le fibrille con legami covalenti o cross -link . Un legame covalente pesa di più che un legame idrogeno: devo dare più energia che per rompere un legame idrogeno. Il legame covalente nasce dal fatto che una molecola di collagene dona una sua nube elettronica al collagene vicino. Cross link significa che si forma un insieme di strutture molecolari non identificato da un unico legame covalente, ma che ha una sua unica lunghezza. Esistono degli enzimi che favoriscono il cross link facendo maturare il tessuto. Si mettono tra una molecola e l’altra di tropocolla gene e fanno da ponte. Le triple eliche si assemblano a formare delle strutture a livello gerarchico superiore sino a giungere alle fibrille di collagene e, componendo queste ultime, alle fibre di collagene caratterizzate da valori di diametro di 1 -10 μm . FORMAZIONE DELLA FIBRA Il reticolo endoplasmatico sintetizza delle catene alpha che si avvolgono per formare la tripla elica . A questo punto ci si trova nel reticolo endoplasmatico nel citoplasma: la parte terminale ha de i difetti finali perché dietro o davanti non si trova niente e possono comportarsi come vogliono. procollagene Questa molecola esce dalla membrana cellulare e prende il nome di pro collagene che significa molecola di collagene non matura a causa delle strutture terminali che vanno tolte. Queste estroflessioni renderebbero infatti l’assemblamento più complesso. Per far maturare questa molecola si tagliano le terminazioni del procollagene che sarebbero ostative . Da procollagene prende il nome di tropocol lagene. tropocollagene A questo punto la molecola può assemblarsi e si unisce con altri tropocollageni. I tropocollageni si uniscono a formare la stessa fibrilla. fibrilla Le molecole di collagene non si assemblano l’una sotto l’altra ma si sfasano leggermente . Per costruire una fibrilla non è possibile utilizzare oggetti messi l’uno sotto l’altro . Il fatto che essi siano sfasati permette di resistere ad una forza di trazion e che viene dall’esterno. Questo è un modo di assemblarsi di cinque file di molecole di collagene. Un sinonimo potrebbe essere microfibrilla . La singola catena α si avvolge spontaneamente con un ’altra catena : tra le catene diverse si formano dei legami i drogeno. Il tropocollagene si associa a formare delle fibrille di collagene ; successivamente tante fibrille di collagene si assemblano a formare la fibra di collagene. LEZIONE 27/09/2022 La molecola di collagene si assembla con molecole a lei simili per formare strutture gerarchiche superiori . Le molecole hanno un a sfasatura per consentire la formazione di legami tra molecole di collagene diverse per dare rigidità al tessuto connettivo . Tante microfibrille sono un’unita che perm ette di costruire la fibrilla . Le fibrille si uniscono per formare l’unità macroscopica dei tessuti ovvero la fibra di collagene. Le fibre di collagene sono delle strutture molto stabili chimicamente e hanno delle buone proprietà meccaniche . Danno dei ma teriali biologici che si possono considerare come dei materiali ingegneristici. La stabilità consente sia alla molecola che alla fibrilla di avere alte proprietà meccaniche. Il modulo elastico di Young della fibra di collagene. Non è detto che una molecola di collagene abbia lo stesso modulo elastico della fibrilla perché interviene il diverso modo di assemblarsi. L’unità macroscopica fondamentale ha generalmente un’orientazione che non è dettata dalla meccanica perché il tessuto è scarico. L’orientazione dipende dal tipo di tessuto. Nella pelle ha un’orientazione che si organizza nelle tre direzioni dello spazio, nel tendine le fibre di collagene hanno un avvolgimento ma hanno una direzione preferenziale di sviluppo. Le fibre si dispongono lungo l’asse pr incipale del tendine. Non sono dritte se il tessuto non è sollecitato, ma h anno un andamento che può essere modellizzato come sinusoidale. Mettendo in tensione il tendine le fibre si mettono lungo la direzione di applicazione del carico. Il tendine, dopo l ’applicazione del carico, toglie l’increspatura. Una volta rimossa l’increspatura la f ibra è completamente dritta e può rispondere e sopportare il carico esterno applicat o grazie alle sue proprietà meccaniche. Il passag gio gerarchico da fibr illa a f ibra è reso possibile grazie a dei legami che si realizzano tra molecole diverse se si pensa alla fibrilla e tra fibrille diverse se si pensa alla fibra. L’unità fondamentale è la molecola: la sommatoria di mo lec ole dà una fibrilla , la sommatoria di fibrill e da una fibra. La formazione di fibrille è resa possibile dalla formazione di legami cross linked tra molecole diverse . Analogamente, la sommatoria di fibrille (= fibre) è resa possibile da altri legami cross -linked e glicoproteine che legano covalenteme nte fibrille diverse. Proprietà meccaniche di tessuti di collagene di tipo I → L’ordine del modulo elastico per lo sforzo da rottura è 1 ������ . → Lo sforzo di rottu ra rappresenta il modulo di forza rispetto all’area che si ottiene rompendo il materiale (50 ÷ 100 ������ ). → L’allungamento a rottura è c irca del 10% . Una volta allungata e tolt a la parte di avvolgimento ad elica del collagene si raggiunge l’allungamento del 10% raggiungendo lo sforzo di rottura e si rompe. La classica curva sforzi deformazioni ha due regioni: 1. Regione caratterizzata da un comportamento elastico con basso modulo di Young (fase di allineamento ). Le molecole non sono allineate lungo la fase di carico e con uno sfor zo modesto si riallineano le strutture molecolari verso la direzione di applicazione del carico. È un comportamento lineare e dopo aver raggiunto l’allineamento di tutte le unità molecolari, queste sono tutte allineate verso la direzione di applicazione del carico . La pendenza della curva dà ragione del modulo elastico: il coefficiente angolare ci dice quanto vale il modulo elastico in queste due zone. 2. Nella seconda zona si hanno alte prestazioni meccaniche Il passaggio da 1 a 2 non avviene con un punto angoloso, ma avviene in maniera graduale perché non si hanno tutte molecole disorientate in un’unica direzione, ma avendo una componente casuale di orientamento , questo riallineamento (passaggio zona 1 → zona 2) è graduale. Guardando il centro della zona 2 tut te le strutture molecolari hanno lo stesso orientamento . Questo avviene nel caso in cui il collagene funzioni bene. Patologie del collagene Sono patologie molecolari, date da un gene che potrebbe mancare o avere un difetto. Potrebbe esserci la mancanza di inf ormazioni che dicono alle mie cellule di avere una glicina in una determinata posizione della tripletta glicina -amminoacidi . La glicina in un certo punto potrebbe essere un altro amminoacido. Questa è detta single point mutation . Questo provoca alcune pa tologie: - Osteogenesi imperfecta : c’è una mutazione nel collagene di tipo I. questa patologia è la singola mutazione di un amminoacido in uno degli amminoacidi possibili. Questa patologia h a come effetto che l’osso che sta per essere depositato dai fibroblasti è imperfetto . H a una funzionalità peggiore rispetto al fibroblasta con l’ informazione corretta . Si chiama anche malattia delle ossa fragili perché il tessuto connettivo non è in grado di dare delle buone proprietà meccaniche. - Sindrome di Stickler - Sindrome di Helers -Danlos : imperfezioni nel collagene di tipo VII - Mutazione del collagene della pelle: dà un’enorme deformità alla pelle ELASTINA Interagisce col collagene: è la parte elastica delle fibre . Danno tutte le proprietà elastiche ai diversi tessuti con la capacità , in maniera spontanea, una volta rimosso il carico di tornare nella posizione iniziale. Spontaneamente l ’elastina ritorna nella configurazione iniziale. L’elastina s i trova organizzata a seconda del tessuto in diversi modi: 1. Amorfo: in modo casuale, un materiale che non ha delle orientazioni e una struttura molecolare rilevante 2. Fibrillare: alcune zone sono dotate di una struttura a foglietti β che è un pattern regolare. Rimuovendo il carico , la parte amorfa che si era allungata dal punto di vista entropico è in disordine: cerca di ripiegarsi in un modo per cui prova a tronare ad un microstato con entropia analoga a quella iniziale . I fogliett i β e le parti amorfe si coordinano in strutture sopra -molecolari (fogli sottili o spessi, concentrici, in lamelle, bastoncini, reti bi -tri-dimensionali) a seconda del tessuto nei quali si trovano . Esempio: gli alveoli sono costituiti quasi solo da elastina. La rete di elastina negli alveoli ha un’orientazione bidimensionale. Gli alveoli sono composti da elastina perché devono avere la capacità di dilatarsi e tornare alla posizione iniziale in maniera sponta nea. La parte fibrillare non amorfa si trova associata al collagene o ad altre strutture molecolari . Anche queste si organizzano in fibrille o talvolta in microfibrille. Si trova dappertutto e gli amminoacidi principali che costituiscono l’elastina sono la glicina è molto espressa , alanina, valina , prolina , leucina ecc . Il modulo elastico scende di tre ordini di grandezza rispetto al collagene. Infatti, l’elastina si rompe molto prima di valori di sforzo rispetto al collagene perché non è un materiale usa to per tirare , ma per rispondere inizialmente allo stato e dopo che lo stato viene rimosso vuole tornare nella configurazione iniziale . Si rompe con un basso sforzo ma si ricompone. Mentre il collagene è una struttura molto ordinata, per l’elastina si hanno tante strutture diverse. Proprietà meccaniche → Modulo elastico 1 ������ → Sforzo a rottura 1÷ 2 ������ → Allungamento a rottura 100 ÷ 200% Ci sono alcune deformazioni genetiche che portano a delle patologie dei tessuti caratterizzati da lla presenza d ell’elastina come per esempio: → Stenosi ao rtica sopra -valvolare → Aneurismi addominali: sono stati correlati alla diminuzione della percentuale di elastina dei tessuti vascolari. Un aneurisma si ha quando si ha una lesione in una particolare zona e si crea un rigonfiamento. Ci sono delle sollecitazioni maggiori del normale. → Enfisema polmonare : patologia molto diffusa e socialmente rilevante, è dipende dalla distruzione di elasti na nella parete degli alveoli collegata sia a difetti nella produzione e riparazione delle strutture di elastina nell’alveolo, sia a processi di degenerazione e riassorbimento . Se si produce troppa elastina ci possono essere degli stati associati a delle situazioni oncologiche . Ci possono essere anche degli stati che portano la degradazione, per esempio la calcificazione dell’elastina, ovvero la presenza di articolati solidi all’ interno del materiale elastico. Le calcificazioni portano un aumento del la rigidezza del tessuto che assume un diverso comportamento meccanico del tessuto. Un tessuto più rigido rispetto a quello fisiol ogico provoca un diverso comportamento meccanico del tessuto. PROTEOGLICANI Sono un mix di una parte proteica e una parte di catene di zuccheri. La molec ola è composta in parte da proteina e in parte da catena di zuccheri . La parte d i zuccheri è composta da glicosamminoglicani (GAG s). Si tratta di un anello di carboni e in uno dei vertici dell’esagono di carboni è presente un ossigeno. I carboni hanno legati altri gruppi . I glicosamminoglicani viaggiano a due anelli alla volta. L’unità fondamentale di questa molecola è un disaccaride. La configurazione classica è la configurazione a sedia . I glicosamminoglicani si trovano in tutti i tess uti connettivi . Si trovano sovra espressi in alcuni tessuti. Come il collagene e come l’elastina si trovano sempre nella matrice extracellulare. A seconda del gruppo funzionale prendono un diverso nome e tra i gruppi funzionali importanti ci sono spesso gruppi carichi negativamente. Su uno dei carboni ci può essere la presenza di un gruppo carico negativamente. Questo rende quella zona carica negativamente, e quindi capace di avere una buona interazione con l’acqua. Cominciano a reagire e scambiano delle fo rze di interazione con l’acqua. Sono molto idrofili e scambiano dei legami di tipo idrogeno con l’acqua. Sono molecole che vogliono essere idratate. Il proteoglicano è dato dalla proteina più la somma di catene di glicosamminoglicani. Esempio: il condrotin solfato è un proteoglicano che ha un gruppo solfato nell’unità disaccaride. Va bene costruirsi una catena da nove disaccaridi anche se la catena è composta da molte più unità perché se si caratterizza l’energia di questo stato , la si moltiplica per il numero di unità presenti nella molecola reale . PROTEOGLICANI E COLLAGENE La molecola è immersa nell’acqua. I tubicini sono le fibre di collagene, mentre i proteoglicani si coordinano e si frappongono in maniera casuale tra le fibrille di collage ne nel tessuto. I cerchi sono le cellule di un particolare tessuto connettivo che hanno prodotto la matrice extra -cellulare. Il core centrale di proteina dei proteoglicani serve per legare gli zuccheri che sono dotati di cariche negative. I rametti di z ucchero legati alla proteina centrale cercheranno di respingersi tra di loro dando la tipica struttura del proteoglicano. I rametti sono aperti verso l’esterno, ovvero verso l’acqua. L’acqua serve per mascherare il fatto che le proteine sono cariche negativamente. Il legame tra la parte proteica e il glicosamminoglicano avviene grazie a degli zuccheri , in particolare grazie a dei tetrasaccaridi . Su una serina (amminoacido del proteoglicano) si attacca un tetrasaccaride di connessione. Dall’altra parte si legano alla catena di glicosamminoglicani. I proteoglicani possono essere classificati in base al peso molecolare. 1. Basso p eso molecolare : la decorina ha una parte proteica a ferro di cavallo. È una ‘mezza ciambella’. In una delle due estremità è presente una serina che ha la capacità di legare una catena di glicosamminoglicani. 2. Alto peso molecolare : aggrecano . In una zona si sviluppa in una direzione, in altre si sviluppa in modo globulare . Su questa parte proteica si attaccano dei glicosamminoglicani perché sono presenti delle serine. Nella parte centrale i glicosamminoglicani sono i KS (keratan -solfato). Una parte di glicos amminoglicano è invece il condrotin solfato. 3. Altissimo peso molecolare : ialuronano . È una catena molto lunga di acido ialuronico. Ovvero una catena di due zuccheri. A questa catena lunghissima si attacca no tante molecole di aggregano tramite la sua struttura globulare. Questo è il motivo per cui lo ialuronano è definito ad altissima densità. Lungo la catena si innestano quindi dei proteoglicani. LEZIONE 29/09/2022 I proteoglicani son o molecole cariche negativamente . Un glicos ammin oglicano con disaccaridi porta cariche negative. Ogni glicosamminoglicano si porta cariche negative. Queste strutture sono altamente dotate di cariche tutte dello stesso segno. Sono gruppi molto reattivi, ovvero sono in grado di scambiare elettron i, ma nella realtà l’elettronegatività è in grado di scambiare energia col mondo circostante. La matrice extracellulare è composta per il 75% da acqua e q ueste strutture sono altamente idrofile : si idratano molto facilmente. Si legano con legami di tipo idrogeno con le molecole di acqua e sono tutte catene dello stesso segno. In questi legami interviene anche il legame di coulomb . L’interazione tra cariche dello stesso segno fa sì che queste si resp ingano. Queste strutture sono tutte strutture che non starebbero bene collassate l’una sull’altra e per questo motivo s ono tutte dotate di cariche dello stesso segno. Queste molecole trovano ampia espressione in alcuni tessuti molto idratati o che devono r esistere a delle forze che sono principalmente soggette a compressione. Lo ilauronano e la lubricina si trovano soprattutto nella cartilagine. Rendono questo composto in grado di resistere alla compressione. Rimuovendo la compressione queste strutture torn ano in una configurazione precedente alla compressione. La compressione è una pressione idrostatica che riduce le dimensioni della cartilagine. Se viene applicata una pressione idrostatica l’effetto sul volumetto è la riduzione delle dimensioni e c’è un mo vimento verso l’esterno dell’acqua. L’acqua fuoriesce dal volume : le catene di glicosamminoglicani si trovano più vicine rispetto alla configurazione non deformata. Avvicinando le molecole aumentano le forze di repulsione di coulomb. ������ è la costante dielettrica dell’acqua. Il fatto di avere dell’acqua significa avere 1 78 della forza rispetto a quando non c’è l’acqua . 1 4������0������ 12 2 ������(2)= 78 Quando la cartilagine è idratata le forze valgono 1 78 di quello che varrebbero se non ci fosse l’acqua. Compr imendo la cartillagine molta di quest’acqua che stava mascherando le cariche negative non lo fa più: se l’acqua non c’è più la forza assume un valore unitario della forza coulombiana . Comprimendo la cartilagine , sol o perché è composta da proteoglicani , facendo uscire l’acqua e per effetto delle cariche – inizia a produrre una forza che si oppone al carico di compressione. Questo è uno dei meccanismi che danno alla cartilagine un modo per rispondere al carico. Questo non è uno stato permanente . Rimuovendo il carico l’acqua può rientrare nel tessuto e il tessuto ritorna nella configurazione indeformata. Al momento della compressione non c’era nessun altro che resistesse alla compressione. Lo stato di prima come lo stato di adesso è energicamente uno stato equivalente. Il riarrangiamento delle molecole è necessario perché queste strutture sono dotate di un’alta entropia. Questo è un processo ch e avviene in modo spontaneo, ovvero senza dispendio di energia. L’abbas samento del pH o un aumento della concentrazione di sali sono dei responsabili di una diminuzione delle forze repulsive . Se ci sono glicosamminoglicani tutti carichi negativ ament e nonostante non siano reattivi , se ven gono circondat i da cariche positive, le cariche negative si coordinano a queste . L’effetto è quello di mascherare questa natura elettrostaticamente negativa dei glicosamminoglicani. PROVE MECCANICHE La presenza dei proteoglicani è quasi esclusivamente il motivo per cu i i materiali biologici hanno un comportamento visco -elastico. Sono quindi presenti due parti: → viscosa: è l’interazione tra le molecole e il mondo non molecolare (acqua) → elastica: nasce dalla risposta delle molecole nella matrice extracellulare (elastina, proteoglicani, collagene). Esistono un set di macchine di prova sviluppate per materiali ingegneristici , ma che vengono utilizzati anche per caratterizzare il comportamento mecca niche di strutture biologiche. Macchine di Prova Ci sono m acchine di prova mono -assiale , ovvero una sollecitazione in un’unica direzione . Per l’applicazione sui tessuti ci sono anche prove su due direzioni (la pelle viene caratterizzata nelle due direzioni). Questo tipo di macchine ha: 1. La base , tutta quella parte su cui vanno ad appoggiarsi le altre strutture della macchina di prova . La base deve essere molto solida e non deformarsi. Sulla base vengono alloggiate una cella di carico che è un attuatore elettromeccanico che legge la deformazione imposta sul provino. 2. La cella di carico ha un alloggiamento che termina con una pinza che ser ve a vincolarlo. La cella è attaccata ad un pistone attuatore . 3. Il pistone attuatore applica la deformazione da imporre al provino. È un oggetto che si alza o si abbassa. Questa parte può scorrere mediante l’attuatore. L’attuatore più il pistone attuatore costituiscono la parte che si muove e cerca di allungar e il provino . Vincolando il provino sulla cella di carico e s ul pistone attuatore , si hanno due mani che tendono da una parte all’altra il provino. Se il pistone si alza si fa una prova di trazione. Se lo si abbassa , la prova è di tipo compressione. Per rendere stabile la struttura si devono avere delle colonne rigide che non si deformano . 4. Colonne : elementi strutturali rigidi he insieme con la base e la traversa costituiscono un impalco su cui applicare le forze . 5. Trasduttore di spostamento: decide quando si deve spostare il pistone in una delle due direzioni . Provino: geometria specifica per un determinato materiale. È necessario avere un provino perché s e si vuole caratterizzare un comportamento meccanico di un materiale questo deve essere fatto a parità di forma perché il valore di sforzo non è altro che il rapporto ������= Per differenziare il comportamento meccanico dei diversi materiali bisogna avere una geometria di riferimento che è il mio provino. Se si vuole caratterizzare il comportamento del materiale si deve aver e un oggetto con particolari dimensioni. Se non fosse codificata da delle norme i risultati che otterrei non darebbero raffrontabili con quelle di altri materiali . Tipologie di prove ➔ Statiche La sollecitazione viene applicata in maniera né troppo veloce né troppo lenta per valutare la capacità del materiale di deformarsi. Rispetto alle prove statiche se ne possono fare di diverse: 1. Trazione 2. Compressione 3. Flessione : resistenza ad uno stato che cerca di flettere il materiale. Il materiale si incurva rispetto alla forza di flessione applicata sul materiale ➔ Dinamiche 1. Prove cicliche a fatica: è la stessa prova applicata su un provino volte. Un materiale viene sottoposto ad un a forza di deformazione. La stessa forza che non dava problemi provoca la sua rottura. 2. Impulsive: si cerca di rompere il materiale in un’unica volta. A tempo istantaneo il materia le potrebbe rompersi o non rompersi. Si rompe in maniera diversa. 3. Viscoelastiche: non si valuta solo la prova elastica. Si valuta la natura viscosa che nasce dal fatto che il provino è composto da oggetti molecolari coordinati tra loro o che si coordinan o con le molecole d’acqua. Una cosa fondamentale è avere la stessa tipologia di provino. Le tipologie di provino sono normate in tabelle che dicono come classificare un materiale per avere certe caratteristiche . Possono essere: • cilindrici • piatti • cilindr ici cavi Le dimensioni devono essere codificate. Le tipologie di macchine che applicano questa prova sono macchine di trazione/compressione , biassiali (macchine che sollecitano il provino in due direzioni) e leggono la deformazione applicata . Ci possono esser e macchine che combinano la trazione e la flessione , dei simulatori che hanno ampio sviluppo in tutti i settori dove non è il materiale ad essere rilevante quanto il particolare tipo di sollecitazione, ma anche sul dispositivo che deve essere caratterizzato. Per esempio, utilizzando il simulatore per l a protesi d’anca si considera la sua geometria particolare. Non basta sapere il comportam ento del materiale, ma bisogna realizzare una prova su questo tipo di geometria che rende necessaria una prova a DOC della macchina di prova che dipende un simulatore delle sollecitazioni applicate sul dispositivo. Il simulatore codifica la prova oppure (c asi specifici) le prove non sono codificate e quindi la capacità di esplicitare i risultati è minore. Prove statiche: 1. Risposta alla prova di compressione/trazione Il materiale si può comportare in due modi diversi, si può rompere come un materiale duttile oppure con un a rottura di tipo fragile . Il provino è lo stesso , ma la duttilità o la fragilità del materiale si valuta guardando la curva sforzi/deformazioni . - Rottura duttile: questo materiale nella rottura non ha una sezione rimasta in deformata, ma è andata incontro ad una plasticizzazione ovvero una deformazione permanente che ha ridotto la sezione resistente . Se il provino s i deforma in maniera plastica , la sezione del materiale si riduce. La sezione resistente si riduce e a d un cero punto la riduzione della sezione è troppo grande (strizione) , ovvero si ha un cambiamento importante della sezione resistente. Il fenomeno della strizione avviene appena prima della rottura di scatto del provino, che cede di schianto ( ovvero senza ulteriori deformazioni ). - Rottura fragile : è una rottura netta dove non c’è nessuna modifica della sezione del provino . si potrebbe riprendere i pezzi del provin o e avvicinarli l’uno rispetto all’altro. Il provino ha la stessa geometria iniziale del provino rotto . Per i materiai che si rompono in modo fragile lo scorrimento degli atomi non è consentito. Non potendo strisciare l’uno rispetto all’altra , aumentando lo sforzo d urante la prova il materiale cede di schianto. Si osserva la rottura istantanea per il materiale. Ad occhio si valuta con che tipo di materiale si sta lavorando. LEZIONE 30/09/2022 Con il pistone attuatore si applica una determinata forza o una determinata sollecitazione l’allungamento e la deformazione che si è imposta. Si guarda la curva sforzi/deformazioni che si ottiene come output della prova mono -assiale . Materiale fragile: si deforma in maniera elastica e nel caso ideale anche lineare per poi andare a rottura quando si raggiunge ������. La curva di carico è uguale a quella di scarico. Il coefficiente della retta corrisponde al modulo elastico di Young del materiale. La pendenza dà ragione della rigidezza del materiale. Con tanti provini con le stesse caratteristiche biometriche (materiali fragili) , se si facesse la stessa prova su ognuno di essi, il più ri gido è quello con pendenza maggiore . Material e duttile: esiste una deformazione permanente . Osservando l a curva, s e si scaricasse il materiale prima della fine, nella fase di scarico, segue la stessa curva e torna al punto iniziale. Dopo lo sforzo massimo , invece si nota che il valore di sforzo decre sce. Nella realtà la sezione diminuisce ma se mi rapporto esclusivamente con ������ lo sforzo diminuisce. Se si scarica dopo lo sforzo massimo il materiale si scarica senza ripercorrere la fase di carico, ma subisce una deformazione permanente, perciò, rimane una parte di deformazione εelastico che è la derformazione permanenete plastica dovuta al fatto che si è superato ������������������ e si sta snervando il pr ovino. La definizione di sforzo è una definizione nominale di sforzo. Se si volesse definire un altro stato di sforzo si potrebbe definire come il rapporto tra e l’area reale del provino (). Nella fase di strizione l’area non coincide con 0 anzi, nella fa se di strizione è molto minore di 0. ������ è la definizione di sforzo reale. Se si plottasse lo sforzo reale, questo aumenterebbe costantemente, fino ad arrivare allo sforzo di rottura reale. La deformazione di rottura coincide sia nel grafico reale che nel grafico ingegneristico. Uno dei parametri per definire un materiale è l’area sottesa alla sua curva. L’area sottesa dalle curve corrisponde all’energia assorbita prima di rompersi. Il materiale duttile ha più capacità di incamer are energia rispetto al materiale di tipo fragile. Questa energia è definita tenacia. Integrando la curva da 0 fino allo stato di rottura si ottiene un’energia che dice quanto è tenace il materiale. Un materiale duttile è più tenace di un materiale fragi le. Per il materiale fragile resilienza e tenacità coincidono, per il materiale duttile la resilienza non si osserva nella deformazione plastica , ovvero dove non è in grado di tornare nello stato iniziale . Valutando le aree sottese a tutta la curva fino alla rottura ci dà un indice della resilienza del materiale. La resilienza è la capacità di un materiale di incamerare energia senza deformarsi e, una volta che la sollecitazione viene rimossa, di recuperare la sua condizione inziale. Se viene scaricata la forza si ritorna nella condizione iniziale. = ∫ ������(������)������ ������0 → tenacità = ∫ ������(������)������ ������0 → resilienza 2. Prova di flessione Si applica una forza flettente sul provino Prove dinamiche : 1. Prove cicliche a fatica Sono molto lega te alla geometria del provino. Questo comportamento viene testato su un particolare provino, perché è proprio la geometria che influisce sul carico ciclico su cui si sta applicando la prova. Wo eh ler era consocio delle problematiche legate alla fatica del le strutture progettate. La fatica è uno stato di sollecitazione anche basso che si ripro pone ciclicamente sul materiale o sulla struttura. Per questo motivo prese tanti provini e iniziò a fare tante prove. Volle vedere il numero di cicli da applicare al materiale per vedere a che stato di sforzo si rompessero. 1 ������ → stato di sforzo di rottura rompe il materiale 10 ������������ → si rompe in uno stato di sforzo non tanto diverso d a quello di un unico ciclo 1000 ������������ → in uno stato di sforzo più basso rispetto ad un solo ciclo In questo modo disegnò una curva particolare , dove sulle ordinate c’è lo sforzo, sulle ascisse il numero di cicli su scala logaritmica. Woehler cercò una curva che interpola questo comportame nto che è quella rappresentata: ad un ciclo di fatica il materiale si romp e a ������ e successivamente tendono a ������������������ . Se si abbassa ulteriormente lo stato di sollecitazione il materiale, anche per un elevato numero di cicli, non si rompe. 2. Prove dinamiche impulsive Si vuole rompere in un unico colpo il materiale. Si vuole fare una prova mono assiale istantanea che ha come obbiettivo la rottura istantanea del provino. Esiste la prova di Charpy che ha caratterizzato la rottura istantanea del materiale. Si fa cadere un braccio che ha inizialmente energia cinetica nulla e solo energia potenziale . In fondo alla tratta ha energia cinetica alta ed energia potenziale bassa. Il pendolo scende, passa ne l punto di massima velocità e arriva fino al punto dove c’è solo energia potenziale. Il pendolo scende e sale e continua in un moto perpetuo. Nella realtà il p endolo ad un certo punto si ferma. Tutta l’energia che aveva si è dissipata. La prova di Charpy p revede che sotto ci sia il provino di materiale: la mazza scende, incontra il provino, lo rompe cedendo la sua energia. Infine, la mazza arriverà ad una certa quota. La differenza di quota iniziale e finale è l’energia utilizzata per rompere il provino. La rottura istantanea è relativa alla capacità di assorbire energia in modo istantaneo per un materiale. 3. Prove viscoelastiche Sono imp ortanti per i materiali biologici caratterizzati da un effetto di scorrimento di strutture all’interno del materiale che si sta caratterizzando. Il tessuto è caratterizzato da materia e acqua: questo favorisce lo scorrimento di strutture molecolari che com pongono il tessuto. Può avvenire anche per moto relativo tra molecole che compongono il materiale: i l polimero , anche se non è idratato, può benissimo presentare una natura viscosa che è dovuta allo scorrimento relativo di una catena rispetto all’altra. Le prove che consentono di valutare se un materiale ha un comportamento viscoso sono due: rilassamento e creep. Rilassamento La prova consiste nell’applicare una deformazione costante nel tempo ������0 e si legge come varia lo sforzo nel tempo . Fino a qua ndo il tempo è inferiore a t0 il grafico rimane a 0. Se il materiale è: → elastico: mant ien e uno stato di sforzo costante nel tempo. Risponde immediatamente alla deformazione. → viscoso: lo sforzo parte da un valore e decresce. Nella natura viscosa le molecole scorrono tra di loro perché sono sollecitate dalla deformazione : il materiale viscoelastico risponde subito, ma lo stato di sforzo necessario a mantenere la deformazione applicata è minore rispetto a quello da applicare se il materiale fosse stato semplicemente elastico. Creep/scorrimento Per il creep o scorrimento la prova è la stessa di prima ma si tiene costante lo sforzo e si osserva la deformazione. → materiale elastico: la deformazione rimane costante → materiale viscoso : applicata una sollecitazione le molecole del polimero scorrono. Questo fa sì che ci sia un andamento che tende asintoticamente a quello elastico ma risponde con un certo delay. LEZIONE 04/10/2022 Una sollecitazione di tipo impulsivo r ende molto problematica la resistenza di una struttura . Per sforzo applicato in maniera quasi statica si intende in modo per cui il tempo non ha effetto sulla sollecitazione. il materiale ha più tempo per abituarsi alla sollecitazione. Il carico impulsivo viene invece applicato istantaneamente . Si fa un esperimento e si sottopone lo stesso provino alle due differenti sollecitazioni. Prima di tutto si può andare a vede nel grafic o come varia la forza in base all’ allungamento della trave. Per semplicità riteniamo che il materiale abbia un comportamento elastico lineare. Sollecitazion e quasi statica Durante la sollecitazione quasi statica, la forza aumenta fino a , mentre la lunghezza cresce fino ad un valore limite . Per calcolare il lavoro delle forze esterne si considera . Il lavoro delle forze esterne è l’integrale = ∫ 0 L’equazione d questa retta che rappresenta il comportamento elastico delmateriale è = (− 0) − 0 Inserendo questa equazione nell’inte grale si ottiene = ∫ ∙− 0 − 0 ∙ 0 = 2(− 0) Il lavoro interno sarà invece uguale a ������= ∙0∙∫ ������������ = ∙0∙∫ ∙������∙������ = ∙0∙������∙������ 2 ������ 0 ������ 0 ������ è il carico applicato fratto la sezione . Così si è definito il lavoro esterno e il lavoro interno . I due lavori sono gli stessi perché il carico applicato (lavoro esterno) ha fatto s ì che ci fosse uno sforzo e i due lavoro devono essere gli stessi . Ponendo un’uguaglianza tra lavoro interno e lavoro esterno si ottiene che lo stato di sollecitazione in condizioni quasi static he tende ad essere ������= Carico istantaneo impulsivo Al tempo 0 la trave sente il carico P. La trave si allungherà di una quantità detta . Il lavoro interno deve coincidere con il lavoro esterno perché sono le uniche sollecitazioni applicate. Il lavoro esterno . = (− 0) Il lavoro interno è invece uguale a: ������= ∙0∙∫ ������������ = ∙0∙ ������������ 0 ∫ ∙������������ = ∙������∙(− 0) 2 ������������ 0 Il lavoro esterno e lavoro interno devono essere coincidenti. Scrivendo che il lavoro esterno e il lavoro interno sono uguali . Si trova che: ������= 2∙ Questo mostra che l a sollecitazione risulta il doppio rispetto al caso quasi statico solo per aver applicato con una cinetica diversa. Le strutture sforzate con lo stesso carico, ma in maniera impulsiva, risultano più gravose . Questo è il motivo per cui il cervello galleggia in un liquido, in modo da ammortizzare gli eventuali urti che il cervello può subire. Nel caso quasi statico l’asta si allunga nel tempo e raggiunge una lunghezza e poi nel tempo, se non si muove il carico, la lunghezza rimane . Se ci trovassimo nel caso viscoso scenderebbe. Applicando in maniera istantanea il carico questo darà un valore di allungamento più grande e poi inizierà ad oscillare perché non ci sarà solo la forza peso ad agire: il valore istantaneo dà un effetto dell’energia cinetica che istantaneamente ha una velocità infinita, molto elevata , con un contributo dato dall’energia cinetica per il modo in cui è stato applicato il carico . Questa massa continuerà ad oscillare nel tempo (nel caso in cui non ci sia nessun effetto di smorzamento ). Nella realtà si ha dissipazione perché gli atomi iniziano a strisciare l’uno sull’altro e si ha che localmente aumenta la temperatura. La temperatura non è altro che un dissipamento dell’energia. Nel comportamento reale l’oscillazione si smorza e nel giro di cicli tenderà al valore di allungamento osservato nel caso quasi statico. TIPOLOGIA DEI PROVINI I provini sono la necessità di fare delle prove su oggetti che abbiano dimensioni codificat e, senno i risultati che si otteng ono sono in funzione della geometria dell’oggetto che si sta provando. Possono essere a sezione cilindrica e l e part i più grand i alle estremità sinistra e destra sono dovut e al fatto che devono essere afferrate dai ganci. La rottura avviene nella porzione utile del provino. Essendo una sezione più piccola si rompe dove si sta snervando. Se si rompe in una zona diversa la prova viene scartata. I provini a forma cilindrica sono i più comuni , ma c i sono anche provini con una variazione continua della sezione . La resistenza della sezione minore è dove dovrebbe rompersi il provino. Il provino è un parallelepipedo che ha un raccordo nel mezzo. Questo raccordo viene creato per avere la rottura nel punto desiderato. Ci possono anche essere provini di forma piatta. Queste sono geometrie tutte codificate. Bisogna realizzare quella geometria . La cosa è importante nell’ambito biologico dove questi provini vengono ricavat i con delle dime, ovvero preso un tessuto si fanno delle forme con il negativo dello stampo. Le dime sono il modo in cui l’ingegnere forma le sue prove. PROVE BIASSIAL I Con degli afferragli molto particolari (fili di sutura che cercano di vincolare il lem bo di tessuto) si trattengono i tessuti e sono attaccati a dei binari che non sollecitano i materiali in una sola direzione, ma in due direzioni ( e ). Si valuta il materiale deformandolo contemporaneamente in due direzioni e si valuta la risposta. I p unti nel centro del tessuto sono dei marker che aiutano a valutare in che modo si deforma il materiale. Sono l’espediente per valutare la deformazione indotta sul tessuto in maniera biassiale. Le zone in cui si potrebbe osservare la lacerazione del tessuto sono i punti in cui si attacca il filo di sutura: la soluzione è rendere queste zone il più distribuite possibile, mettendo tanti fili. La forza su ogni lato sarà così ������ . Il provino può essere afferrato anche con delle pinze. Il simulatore vuole valutare qual è la geometria che si osserva praticando un’azione di trazione o compressione sul tratto di colonna vertebrale. Per quanto riguarda le ossa vertebrali, le prove devono essere sviluppate ad hoc, spiegando nel dettagli o quali sono i componenti utilizzati e questo in tutti gli ambiti in cui il dispositivo risulta avere delle geometrie particolari. C’è una macchina di resistenza a compressione della calotta cranica. I tessuti biologici possono essere caratterizzati (ovvero si può descrivere la curva sforzi -deformazioni) . Tra questi si studiano: • osso • tendini e legamenti • tessuto vascolare • altri conn ettivi (dura mater, capsule fibrose periprotesiche …) . Il corpo reagisce all’impianto di endo -protesi con una risposta infiammatoria per cui si crea una capsula fibrosa che può essere soggetta ad una prova meccanica . Si caratterizzano anche i dispostivi biomedicali: • Prove di resistenza statica : possono essere realizzate su impianti dentali, su cateteri venosi e sull a protesi d’anca . • Prov a di fatica : La protesi d’anca è anche soggetta a prova a fatica . La prova a fatica consiste nel l’ applica re un carico di una certa intensità per tanti cicli consecutivi. A nche applicando un carico inferiore al carico d i rottura, dopo un certo numero di cicli il dispositivo va incontro a rottura. • Prova di usura: le protesi possono essere soggette a perdita di particelle di materiale a causa dell o sfregamento . L’organismo avverte queste particelle come estranee e cerca di eliminarle con una capsula fibrotica, oppure queste particelle rov inano la protesi d’anca per moto relativo. • Prove di fu nzionalità: Il dispositivo o il pezzo di metallo da inserire come mezzo di osteosintesi deve essere in grado di trasferire i carichi, per esempio, tra due vertebre . Due vertebre vengono prese e si fissa a queste il mezzo di osteosintesi tramite un chiodo. Il mezzo v iene testato con una macchina di prova guardando i n che modo viene trasmesso il carico da una vertebra a quella sottostante. Si avrà una trasmissione il più fisiologica possibile. Anche qui si sviluppa ad Hoc la prova di funzionalità. La curva sforzi deformazioni dà diverse informazioni: - Sullo stato fis iologi co o patologico di un tessuto. Un diverso comportamento meccanico o un comportamento meccanico non fisiologico è l’effetto di una causa non fisiologica all’interno di un tessuto , oppure la mancanza di un elemento della matrice extracellulare o una sovra -espressione di molecole nella matrice. Questo si trasmette in una diversa risposta sforz i-deformazion i. - Il materiale che si vuole progettare deve avere delle caratteristiche analoghe al materiale da sostituire. La conos cenza della curva sforzi deformazioni è fondamentale per la progettazione di nuovi dispositivi e di nuovi materiali. - Per avere un modello in silico o dei modelli virtuali. Per testare delle portesi d’anca si costruiscono dei modelli virtuali su cui fare i calcoli. I calcoli sugli elementi finiti funzionano solo se ogni elementino del modello porta con sé le informazioni corrette del tessuto che si modella. Questo è possibile solo se si conosce il comportamento sforzi -deformazioni che si studia. Problemati che -reperibilità del materiale -conservazione del materiale: anche nella fase di tes taggio devono avere condizioni il più verosimili alla condizione fisiologica : la presenza di acqua è una condizione necessaria da avere quando si vuole caratterizzare il provino -procedura di prova : gli afferraggi dei punti di sutura devono tenere in modo efficac e le estremità del tessuto. -velocità di prova: le prove devono avere delle velocità diverse dai materiali ingegneristici e in generale hanno dur ate molto maggiori -riproducibilità: i provini di tessuti biologici testati in due laboratori diversi hanno procedure diverse e il tessuto proviene da campioni diversi. Si ha una variabilità intrinseca che rende i risultati ottenuti poco riproducibili. Si fanno tante prove e si utilizzano anche le prove in sil