- userLoginStatus
Welcome
Our website is made possible by displaying online advertisements to our visitors.
Please disable your ad blocker to continue.
Biomedical Engineering - Progettazione di Endoprotesi
Completed notes of the course
Complete course
1 PROGETTAZIONE DI ENDOPROTESI -TOMASO VILLA -PARTE 1 LEZIONE 12/09/2022 INTRODUZIONE Possiamo riprogettare il corpo umano (se necessario)? Siamo capaci (disponibilità della tecnologia)? Siamo autorizzati (aspetti tecnoetici)? L’aspetto fondamentale è che si ha la sostituzione di qualcosa di vivente che si evolve nel tempo. Non è detto che si riesca a trovare una soluzione e, se trovata, può non essere del tutto funzionale. Si ha una parte del corpo che ha perso una propria funzione; il p rogettista cerca una soluzione artificiale per sostituire la funzione mancante o limitata. Nel momento in cui non si ha solo un ripristino della funzione ma anche un’integrazione delle potenzialità di un tessuto o struttura se ne discute la liceità. =l pro dotto è poi sottoposto al mercato; risulta importante quindi anche la questione economica e di convenienza di un progetto o della messa in commercio del DM stesso. Si opera la distinzione tra ripristino della funzione (occhiali), innovazione (lenti) e aume nto di funzione (occhiale con informazioni proiettate aggiuntive). Gli aspetti etici sono quindi da considerare in maniera più che accurata ( ad esempio nel caso di una protesi mammaria con rischio di compromissione dell’allattamento). Delineare i confini d ella progettazione di un nuovo DM è fondamentale: talvolta si ripristina no tutte le funzioni o solo alcune. Si riporta l’esempio dell’evoluzione della sostituzione d’organo nel caso del cuore (sostituzione più complessa possibile). Si è proceduto negli anni attraverso tre forme di evoluzione parallele: medica, tecnologica, industriale. La prima fa riferimento al percorso dal primo uso di eparina nell’uomo (1940) al primo trapianto di cuore (1967); in generale il progettista deve operare sia nella realizzazione del DM che nella definizione del suo impianto cercando di favorire l’attività del chirurgo. Questa evolu zione si interfaccia con quelle tecnologica e industriale per arrivare fino al 2002 quando la FDA ha approvato l’uso del LVAD come dispositivo permanente. Il passaggio fondamentale in ambito tecnologico è stato il primo uso clinico della macchina cuore -pol moni in cardiochirurgia (1953). Nell’ambito della progettazione, fondamentale è l’avvio dell’attività regolatoria sui DM da parte della FDA (1976); negli anni Novanta si avviano attività regolatorie anche in Europa. Il monitoraggio del numero di brevetti p er soluzioni tecnologiche a determinate problematiche può descrivere quella che è l’evoluzione temporale della ricerca e del mercato che consegue per un determinato settore e/o applicazione. Anche il numero di pubblicazioni scientifiche può essere indice di crescita, continuità o decrescita di un determinato DM (o di una famiglia). Possiamo riprogettare il corpo umano? Come è possibile sostituire tessuti, organi, arti malati? Cosa vuol dire malato? Perché sostituire un’articolazione quando si hanno problema tiche per il tessuto o una sua parte? Ad esempio, perché sostituire tutta l’articolazione di ginocchio quando la problematica può essere della sola cartilagine? =l motivo è che ad ora non siamo in grado di progettare e realizzare un sostituto cartilagineo; in linea generale è difficile sostituire un tessuto naturale perché vivente, in grado di rigenerarsi (capacità non propria di un tessuto artificiale). L e soluzion i non sono certamente l’ottimo ma un compromesso che, ad ora, è il migliore identificat o. La necessità di protesizzare un numero sempre crescente di pazienti, porta a cambiamenti nei requisiti progettuali (anche derivanti dalle aspettative del paziente). Ad esempio, sono in corso r icerche per tessuti cartilaginei bioartificiali ma ad ora si ha la possibilità di impiantar ne solo piccole sezioni. I DM che verranno descritti sono DM di serie; lo sviluppo di organi personalizzati è tuttavia il futuro usufruendo sempre più della disponibilità di diverse tecnologie innovative , stampa 3D in primis . Per i DM custom devono essere elaborate nuove regole di validazione che si adattino all’organo personalizzato stesso. I DM impiantabili esistono per ogni area e regione del corpo umano. Di seguito vengono riportate alcune fondamentali definizioni: 1) Materiale: ogni sostanza utilizzata per costruire oggetti; 2) Biomateriale (1982): ogni sostanza o combinazione di sostanze, diversa da un farmaco, di origine sintetica o naturale, che può essere impiegata per qualsiasi periodo di tempo, da sola o come parte di un sistema che tratta, aumenta o sostituisce un qualsias i tessuto, organo o funzione del corpo; 2 3) Biomateriale (1986): una sostanza non vivente utilizzata nella fabbricazione di un DM che ha in qualche punto un'interfaccia con un tessuto vivente; 4) Biocompatibilità: la capacità di un materiale di determinare, da parte di un sistema vivente, una favorevole reazione alla sua presenza in una specifica applicazione (fondamentale relazionare un DM all’applicazione indicata). LEZIONE 13/09/2022 =l regolamento attualmente in vigore è il 2017/745 e definisce un DM come: “Qualunque strumento, apparecchio, apparecchiatura, software, impianto, reagente, materiale o altro articolo, destinato al fabbricante a essere impiegato sull’uomo, da solo o in combinazione, per una o più delle seguenti destinazioni d’uso mediche specifiche”. Si riportano poi alcune ulteriori definizioni: 5) Protesi: un dispositivo che sostituisce un arto, un organo o un tessuto del corpo umano; 6) Endoprotesi: una protesi impiantata nel corpo umano; 7) Organo artificiale: una protesi che sostituisce un organo naturale; 8) Bioprotesi: una endoprotesi costituita totalmente o sostanzialmente da un tessuto biologico (non artificiale) trattato e reso non vivente; 9) Graft: un pezzo di tessuto vivente, o un insieme di cellule viventi, trasferito da una zona di un donatore ad una zona di un ricevente con lo scopo di ricostruire quest'ultima; 10) Trapianto: una struttura completa, ad esempio un organo, che viene trasferita da una zona di un donatore ad una zona di un ricevente con lo scopo di ricostruire quest'ultima. Di seguito sono riportati i materiali a cui si fa riferimento nella progettazione di endoprotesi e le classi principali a cui appartengono: A) METALLI: acciai, Titanio e leghe, leghe di Cobalto; la scelta è chiaramente limitata e deve essere sostenuta dalla provata biocompatibilità del dato materiale per una specifica applicazione; queste tre tipologie di metalli hanno mostrato buoni risultati se associate a diversi DM; le leghe metalliche si distinguono per proprietà meccaniche elevate e modulabili ( grazie all’ aggiunta di determinati elementi di lega); possono tuttavia essere soggette ad elevata rigidità, rischio di corrosione (dato l’ambiente di impianto particolarmente aggressivo) ed alta densità (e conseguentemente peso) se in relazione ai tessuti corporei; B) POLIMERI: siliconi, PU, PE, acrilati, fluorurati, poliesteri; si tratta di materiali a migliore densità e facili da lavorare; hanno tuttavia proprietà meccaniche limitate e sono soggetti a degradazione nel tempo; C) CERAMICI: ossidi, carboni; si distinguono per buona biocompatibilità (la buona inerzia tende ad evitare la reazione con l’ambiente biologico di impianto) e proprietà meccaniche competitive; sono però fragili (con rischio di liberazione di particelle nel corpo in caso di rottura) e difficile lavorabilità (forme semplici); D) B=OLOG=C=: pericardio, collagene, osso; queste strutture, avendo un’origine di tipo biologico, sono fortemente biocompatibili; tra l’altro, nonostante siano res e non viventi, evitano una risposta negativa e addirittura possono indurne una positiva ed efficace; svantaggi sono la limitata disponibilità, i rischi di affidabilità (possibile degradazione nel tempo con progressiva perdita delle caratteristiche meccaniche), la lavorabilità (difficoltà di ottenere forme specifiche) e la conservazione; E) COMPOSITI: vari; non si possono dare indicazioni e linee comuni per questa topologia poiché non è possibile formalizzarne la composizione o la costituzione In seguito, sono riportati gli elementi concettuali di base associati alla progettazione di un DM. Si parte dall’individuazione dell’obiettivo con l’identificazione della funzione limitata o impedit a del tessuto naturale considerato. La conoscenza dell’organo naturale in condizioni fisiologiche precede l’ideazione del 3 sistema artificiale (si tratta di una fase creativa ma non libera); tale fase deve rispondere a requisiti ben definiti e stringenti (materiali, forma, dimensioni e peso coerenti con il sito di applicazione); la scelta corretta di questi elementi è fondamen tale poiché determina l’opportuno funzionamento del DM. La realizzazione tecnologica (o fase di fabbricazione) prosegue al pari della fase creativa e porta alla finale fase di valutazione. La prima fase di progettazione è altamente critica poiché una qualunque soluzione artificiale per un organo/tessuto è perdente in partenza dal momento che il corpo umano nel suo funzionamento fisiologico è difficilmente riproducibile. La conoscenza delle p restazioni dell’organo/tessuto è complessa: in primis, le prestazioni sono determinate a priori e si deve garantire il massimo grado di funzionalità evitando qualunque tipo di manutenzione o revisione del DM ; la misura delle prestazioni caratteristiche del l’organo naturale è poi difficilmente eseguibil e (tecniche più o meno invasive non garantiscono una facile quantificazione attraverso grandezze ingegneristiche significative); la marcata variabilità inter -soggetto è poi da considerare . Nell’individuazione dell’obiettivo per la progettazione di un sostituto efficace, ci sono due strade: la prima prevede di conoscere l’organo nella sua struttura gerarchica (cellula, tessuto, organo, organismo) per poi definire la strategia di progettazione (materiale, componenti, organo artificiale o protesi, organismo) secondo un approccio cosiddetto “cinese”. La seconda modalità di azione (la prescelta nella progettazione di endoprotesi) è quella dell’interpretazione funzionale con predilezione verso un r isultato funzionalmente efficace. Viene riportato l’esempio delle protesi vascolari: si ha una prima fase in cui una sostanza (PET) con determinate proprietà chimico -fisiche viene trasformata in un materiale tramite opportuni processi tecnologici; il mater iale avrà s ue proprietà strutturali; lo stesso viene fatto poi passare in una filiera con origine delle fibre caratteristiche. Variazioni nella tecnologia inducono proprietà strutturali diverse per il materiale ottenuto. La tecnologia agisce poi nell’otten imento di un DM con specifiche proprietà funzionali (in questo caso fibre opportunamente intessute). Segue infine la fase di valutazione in cui si cerca di confrontare le performance del DM artificiale con quelle dell’organo/tessuto naturale. = test/prove possono essere eseguiti ad ogni livello (materiale, componenti, organo artificiale o protesi, organismo). Per il materiale si discutono la biocompatibilità e le proprietà fisiche, chimiche, meccaniche. Per i componenti si fa riferimento a prove funzionali mentre per la caratterizzazione dell’efficacia protesica si utilizzano prove funzionali in vitro (in laboratorio), in silico (tramite modelli computazionali e simulazioni), in vivo (su cavie animali) e prov e cliniche (verificando così la reale efficacia clinica tramite l’impianto diretto su pazienti). L’efficacia clinica inoltre non può prescindere dalla procedura chirurgica di impianto della endoprotesi . LEZIONE 15/09/2022 COMPATIBILITÀ La compatibilità riguarda gli aspetti di interazione tra il DM impiantabile e l’organismo ospite. Esistono diversi livelli di compatibilità: dalla fase chirurgica fino al prolungato stazionamento nel sito di impianto. La compatibilità è un fenomeno dinamic o (evolve nel tempo spesso peggiorando) con condizioni iniziali non sempre note. Al tempo 0 non ho percezione certa di quello che accade al tessuto post impianto. Facendo riferimento al fenomeno dell’allergia a determinati materiali, si tratta una condizio ne di fatto poco nota poiché si può essere di fronte solo ad un primo contatto con la sostanza dannosa, con difficoltà nella dimostrazione e verifica dell’eventuale reazione allergica. Si definiscono in seguito le 4 forme di compatibilità caratteristiche che riguardano i DM impiantabili: 1) ANATOMICA: la protesi deve essere alloggiata in un determinato sito anatomico con compatibilità tra le dimensioni della protesi e quelle del sito di impianto stesso; nel caso della protesi d’anca, ad esempio, lo stelo deve avere dimensioni adatte per l’ins erzione nel canale endomidollare del femore; anche i pesi sono un elemento da considerare sebbene abbiano una rilevanza relativa (pesi importanti non inficiano sulla funzionalità della protesi né sulla vita e percezione del paziente). I pesi 4 vengono percepiti nel momento in cui non si hanno fissaggi e supporto in articolazioni. Anche la resistenza meccanica del componente ha effetto sulla compatibilità anatomica della protesi (si fa riferimento alle viti in protesi dentali); 2) FUNZ=ONALE: si tratta dell’elemento caratterizzante la progettazione. È raggiunta se la protesi svolge correttamente la funzione che il tessuto originale non è più in grado di eseguire; la determinazione della funzione deve giungere da una precisa analisi dell’esigenza clinica presente. =l progettista ha il ruolo di convertire una necessità clinica/medica/funzionale in specifiche grandezze ingegneristiche per definire la strategia e le scelte di progetto più consone. La compatibilità funzionale è quella mag giormente interessata dall’evoluzione temporale con progressiva perdita delle caratteristiche distintive per effetto di processi adattativi che l’organismo tende ad azionare; tra questi si riconoscono vari meccanismi di compensazione che i distretti prossi mali al DM impiantato mettono in atto. Inoltre, il DM tende a degradarsi esso stesso con modifiche che inducono cambiamenti nel grado di compatibilità funzionale; 3) BIOLOGICA (BIOCOMPATIBILITÀ): è associata allo specifico materiale in relazione ad una specifica applicazione; 4) C:=RURG=CA: si tratta di una proprietà che il DM deve avere durante l’atto chirurgico; significa soddisfare i requisiti associati all’atto con l’obiettivo di ridurre i possibili errori di impianto e promuovere la preservazione dei tessuti circostanti al si to di impianto (accessi il meno invasivi possibile). Le due richieste sono in contrapposizione poiché un ingresso mininvasivo è associato ad una ridotta visibilità dell’area stessa. Per poter soddisfare eventuali esigenze chirurgiche di accesso, potrebbe e ssere necessario un cambio della forma con necessaria compatibilità con l’anatomia del sito di impianto e le conseguenze sul successo funzionale. Grosse innovazioni nell’ambito dello strumentario chirurgico sono poco sostenute visto il limitato guadagno ec onomico per chi le sviluppa. L’atto chirurgico deve prevedere anche una eventuale situazione di espianto; in determinati casi l’espianto non è corrispondente al fallimento ma previsto (DM per osteosintesi). Quali sono i fattori che influenzano le esigenze di compatibilità: A) DURATA DELL’APPL=CAZ=ONE: può essere permanente con espianto non previsto, temporanea (DM di osteosintesi) o periodica: le esigenze di biocompatibilità diminuiscono dal primo all’ultimo. L’impianto precoce di DM permanenti è un elemento critico per la dura ta richiesta con esigenze funzionali sempre più importanti; B) POS=Z=ONE DELL’APPL=CAZ=ONE: può essere extracorporea, intracorporea, percutanea con considerazione della tipo di tessuti a contatto. Per il primo si hanno esigenze di compatibilità meno rigide vista la mancata necessità di far fronte alla chirurgia; nel caso del percutaneo la facile accessibilità permette il superamento rapido di eventuali problematiche; l’intracorporeo invece ha esigenze di compatibilità massime; C) TIPO DI FUNZIONE: infine, l e esigenze di compatibilità di un DM che sostituisce una funzione vitale sono superiori rispetto a quelle di un DM non vitale. In termini di biocompatibilità, il sistema biologico non è in grado di valutare gli effetti globali, ma solo quelli locali. L’interazione locale tra il biomateriale costituente il DM e tessuto avviene all’interfaccia; il biomateriale tende a indurre una di minuzione della compatibilità con possibili tossicità (locale/sistemica), allergie (a livello globale), varie alterazioni del tessuto (nel caso di stent si ha possibile iperplasia intimale). Anche il tessuto può influenzare il biomateriale inducendo corros ione e degradazione determinandone le prestazioni caratteristiche. Si tratta di un circolo per cui DM e sito di impianto hanno reciproci effetti: l’equilibrio tra i due è la chiave per una corretta integrazione compatibilità tra i due. Per applicare un dispositivo impiantabile occorre produrre una lesione tissutale finalizzata all’accesso al sito di impianto o al diretto impianto del DM. La risposta fisiologica alla lesione tissutale è il processo infiammatorio. Il processo infiammatorio è un processo di guarigione che ripristina la continuità del tessuto: l’osso ripristina esattamente il tessuto originario, la pelle non riesce a ripristinare completamente la 5 superficie, la cartilagine non si ripristina per niente mentre le sierose tendono a perdere grado di funzionalità. Alla lesione tissutale segue un processo infiammatorio: ad esso sono associati possibili casi di infezione (in ingresso attraverso la lesione tissutale) che il processo infiammatorio deve considerare. L’infezione può derivare da un intrinseco trasporto di agenti patogeni da parte del DM (non sterile): la sterilizzazione avviene al termine del processo produttivo da parte del fabbricante (appogg iato da aziende deputate alla pratica stessa) con associato imballaggio (scelta prediletta in maggioranza); alternativamente l’ospedale si occupa della pratica in loco. La sterilità richiesta secondo normativa è quantificata da un SAL (Sterility Assurance Level) pari a 10 -6. I principali metodi di sterilizzazione per i DM metallici sono sterilizzazioni a raggi gamma o beta; per le plastiche si utilizza invece ossido di etilene (EtO) poi rimosso per tossicità; altre tipologie sono meno utilizzate. Dal moment o che le percentuali di infezione sono pari ad alcuni punti, garantita la sterilità della protesi secondo SAL, i fenomeni infettivi sono in generale da rifarsi prevalentemente all’atto chirurgico stesso o al decorso ospedaliero del paziente (reparti ben di visi). Attecchimenti batterici sul DM artificiale stesso tendono ad essere difficilmente eliminabili tramite antibiotici poiché, di fatto, la protesi non è vascolarizzata e i farmaci non possono agire sull ’infezione; conseguenza estrema è il fallimento con espianto della protesi. In generale il processo infiammatorio consiste nelle fasi proliferativa, di rimodellamento e di cicatrizzazione. Le sierose sono tessuti che rivestono alcuni organi mobili facilitandone i movimenti rispetto alle strutture fisse adiacenti (pericardio, pleura, peritoneo). Le sierose sono costituite da due foglietti (parietale/esterno e viscerale/interno) capaci di sciv olare l’uno sull’altro grazie ad un fluido lubrificante interposto; la cicatrizzazione di una sierosa post -intervento in genere provoca aderenze che ne limitano la funzione. La risposta dei tessuti ai corpi estranei è quella di espellerl i per via meccanica o chimica; l’espulsione per via meccanica può avvenire se il corpo estraneo è superficiale e movibile (esempio della scheggia di legno sottocute); in alternativa viene isolato con una capsula fibrosa di connettivo amorfo. Invece, s e la sostanza impiantata è fluida o particolata (farmaco intramuscolare) può essere aggredita e d espulsa per via metabolica. Quando il corpo estraneo non può essere eliminato la sua presenza altera gli effetti del processo infiammatorio; in determinati casi non si ha una fine del processo infiammatorio ma si instaurano cosiddette infiammazioni croniche: il distacco di particelle plastiche di usura negli inserti per protesi d’anca o negli spaziatori p er protesi di ginocchio può indurre tale fenomeno, ad esempio. Il tentativo delle cellule che vengono richiamate è quello di fagocitare tali particelle ma , talvolta la consum azione del l’osso stesso determina la cronicità dell’infiammazione . Una possibile classificazione dei biomateriali fa riferimento alla risposta dei tessuti ad essi: 1) RISPOSTA MINIMA: si ha in presenza di materiali inerti come gomme siliconiche, PTFE, ceramici, leghe di Ti e Co; in questo caso l’impianto viene incapsulato da un sottile strato fibroso; 2) RISPOSTA INDOTTA CHIMICAMENTE: sono i materiali riassorbibili come PLA e le suture assorbibili; si fronteggia una modesta risposta infiammatoria acuta. Per i materiali degradabili come polimeri con additivi tossici e metalli corrodibili invece, la risposta infiammatoria è cronica e grave. 3) RISPOSTA INDOTTA FISICAMENTE: si tratta dei materiali usurabili come polimeri (UHMWPE, PMMA) e metalli con risposta infiammatoria associata al particolato; per i materiali porosi invece si ha la crescita di tessuto nelle porosità stesse. Per i materiali polimerici la degradazione comporta differenti arrangiamenti molecolari e la rottura dei legami; quest’ultimo elemento induce la riduzione del peso molecolare, il peggioramento delle proprietà meccaniche e possibili effetti chimici con gene razione di prodotti di scarto. Per i metalli, invece, l’ambiente biologico induce corrosione con rilascio di ioni nell’ambiente (tossicità) e possibile danneggiamento della struttura (rottura). 6 LEZIONE 19/09/2022 AFFIDABILITÀ 1 Si tratta della capacità di mantenere le specifiche nel tempo. L’affidabilità che il DM possiede al tempo 0 evolve nella fase di impianto; normalmente diminuisce man mano che il tempo passa. È strettamente legata alla capacità di fare manutenzione (non pos sibile nei DM impiantabili vista la necessità di un secondo atto chirurgico ); l’affidabilità pertanto deve fare riferimento alla sola parte di progettazione. La decrescita dell’affidabilità è dovuta all’invecchiamento dei materiali e comprende fenomeni di usura, degradazione e fatica meccanica ; se questa diminuzione è accettata , si rigetta una completa perdita di funzionalità . Il progettista deve valutare e stimare l’andamento temporale dell’affidabilità con parallela previsione di un eventuale guasto e del le sue caratteristiche (seguendo una quantificazione probabilistica). I guasti vengono stimati eseguendo prove o attraverso il monitoraggio dei prodotti impiegati . Il monitoraggio post -market è un ulteriore strumento di verifica e analisi dell’affidabilità già valutata durante la fase di progettazione . L’avaria è la perdita di affidabilità per comparsa di un guasto fenomeno di entità/ gravità variabile a seconda della specifica coinvolta. Le specifiche di compatibilità funzionale e biologica sono da considerarsi nell’analisi dell’affidabilità di un DM: la prima tende a diminuire mentre la seconda raggiunge un plateau (equilibrio); le compatibilità anato mica e chirurgica no n variano temporalmente . I malfunzionamenti emergono con l’aumento in termini temporali delle esigenze di affidabilità. = guasti possono essere parziali (guasto iniziale che può evolvere) , totali (funzionalità del DM compromessa/fallimento) o intermittenti (legati all’utilizzo del DM) ; si tratta di eventi probabilistici che dipendono dal tempo. Le seguenti espressioni definiscono la probabilità che al tempo t si verifichi l’i -esimo gu asto su N guasti, la probabilità totale di accadimento di un guasto e l’affidabilità: A) Guasto PRECOCE (G1) : picco di probabilità all’inizio dell’utilizzo del DM B) Guasto CRESCENTE LINEARMENTE (G2) : si ha una probabilità crescente linearmente C) Guasto CRESCENTE LINEARMENTE (G3) : circoli viziosi D) Guasto A PRO BABILIT À COSTANTE (G4) : eventi occasionali E) AFFIDABILIT À: calo dovuto a guasto precoce con buca; successivamente si individua una decrescita temporale. Si riporta no i principali guasti associati ad un impianto di protesi d’anca: il primo guasto riscontrabile (precoce) può essere associato all’atto chirurgico o al primo contatto tra paziente e chirurgo. Un andamento similare (con picco) è proprio della perdita di osteointegrazione, fenomeno che si verifica successivamente all’impianto con una scala temporale traslata di alcuni mesi rispetto all’atto chirurgico. Un guasto con andamento lineare crescente è la perdita di connessione (modularità) tra componenti . I vantaggi associati all’utilizzo di modularità sono: possibilità di ottenere forme complesse , utilizzo di materiali diversi, flessibilità, questioni economiche. Ulteriore guasto possibile e casuale (e quindi costante) è la rottura per eccesso di carico (possibile in caso di inciampo ad esempio). Si hanno poi fenomeni di fallimento per usura e fatica in crescita con il passare del tempo. L’affidabilità ha un minimo relativo in corrispondenza di eventuali guasti precoci con successivo decadimento progressi vo. Come è possibile valutare se il decremento è accettabile in relazione alla funzionalità? Si eseguono confronti con DM analoghi per la medesima patologia già presenti in commercio oppure con le alternative terapeutiche presenti; non viene immesso in mer cato un DM con affidabilità inferiore rispetto ad uno già presente (non furbo) a meno che non garantisce prestazioni migliori/eccezionali rispetto ai precedenti. Per alcuni DM (cardiovascolari e alcuni ortopedici), specifici registri raccolgono informazion i e dati caratteristici rispetto all’impianto di protesi definite (comprese diverse variabili dovute ai pazienti, ai DM e alle procedure chirurgiche). 7 Una grande parte dei risultati di affidabilità di un DM dipende dalle proprietà meccaniche dei materiali costituenti il DM stesso. Data una generica curva sforzo -deformazione ottenuta mediante opportune prove meccaniche (luogo dei punti che definisce l’esi stenza di un determinato materiale in condizioni statiche), si riconoscono: 1) Da O ad A si ha un tratto lineare con permanenza nel campo elastico e recupero della deformazione se viene tolto il carico ; 2) Dopo A si va incontro a deformazione permanente se il carico viene tolto. Il temine del comportamento elastico corrisponde allo sforzo definito di snervamento; 3) Si identificano inoltre uno sforzo massimo ed uno sforzo che identifica a rottura. Il progettista deve elaborare una soluzione che permetta il funzionamento del DM nel solo campo elastico evitando alcun tipo di deformazione permanente , cambio di forma e cambio delle funzionalità del materiale. La maggior parte dei DM impiantabili nel corpo umano sono soggetti a carichi dinamici/variabili nel tempo e ciclici. Il semplice fatto di essere soggetto ad un carico variabile nel tempo induce la possibile insorgenza di fatica meccanica. Un DM può perdere funzionalità per effetto della fatica meccanica anche in presenza di carichi particolarmente bassi e inferiori rispetto al carico di snervamento; il fenomeno della fatica meccanica, infatti, fa riferimento alla presenza dei difetti presenti nei componenti : possono essere difetti interni, di superficie, dovuti a lavorazioni; in corrispondenza di tali difetti si hanno picchi di carico che possono superare i limiti statici del materiale; il difetto tende a propagarsi e progressivamente riduce la sezione resis tente del componente fino a giungere a rottura. La criticità è dovuta al fatto che tale fenomeno è associato a carichi fisiologici non traumatici o estremi. Il grafico di Wohler riassume il comportamento dei materiali in relazione al numero di cicli applic ati al componente; con il diminuire del carico applicato, si ha un aumento sensibile della vita utile del materiale; la curva non è il luogo geometrico unico dei punti del materiale in questione ma piuttosto la probabilità che il 50% dei componenti sottopo sti a un determinato carico si rompa prima di un numero di cicli definito. Si può costruire quindi una curva di affidabilità precisa del componente in base alla conoscenza del comportamento a fatica. Se il DM non risponde ai requisiti si può operare cambia ndo forma o materiale in modo da ottenere uno sforzo inferiore ed aumentare il numero di cicli ammessi. Si riportano in seguito alcuni casi ed esempi di fatica meccanica riscontrati in attività sperimentale o in casi di perizie specifiche: 1) IMPIANTO DENTALE (test in laboratorio): la struttura prevede una vite viene inserita in mandibola o mascella con moncone per l’adagiamento della corona e del dente artificiale. Si esegue la prova con fissaggio della vite e sottoposizione di un carico cicli co fino al raggiungimento della rottura. La vite e il moncone sono due componenti distinti ed associati tramite una piccola vite (diametro di pochi millimetri) di connessione: si è riscontrato che la maggior parte delle rotture riguardava proprio la piccol a vite. L’osservazione tramite SEM della microstruttura della superficie di rottura permette di distinguere i casi di rottura statica da quelli indott i da fatica . SI riconosce, in questa situazione, un punto di innesco (crepa a fatica/cricca) che ha origine dalla superficie della vite stessa (filetto) derivante da una discontinuità. Si distingue poi un’area di propagazione della fatica ed un’area di rottura duttile. 2) PROTES= D’ANCA (test in laboratorio): esistono specifiche procedure per la caratterizzazione del comportamento meccanico della protesi. Eseguiti test su specifiche protesi si verificano casi di rottura ben prima del numero di cicli richiesto; lo studio del punto di innesco ha portato all’identificazione di una lavorazione superficiale che consisteva nel nome del produttore stampato a laser; in corrispondenza della lettera T, la doppia incidenza del laser induceva l’origine delle cricche. Sebbene lotto e num ero di serie della protesi siano necessari, un opportuno collocamento sulla protesi è fattore fondamentale. La fatica è più importante se il dispositivo è soggetto a trazione, in corrispondenza delle fibre tese (per la protesi d’anca si tratta della parte laterale dello stelo). 8 3) FISSATORI PER COLONNA: si tratta di elementi che bloccano segmenti della colonna (vertebre) impedendone il moto relativo. Sono costituiti da una vite e una barra con un grano che rende il sistema vite /barra solidal e. L’osservazione a l microscopio di alcune barre che erano andate incontro a rottura ha mostrato la propagazione delle cricche a partire da un’ indentazione dovuta al grano; la curvatura delle barre (in lega di Titanio limitatamente rigida) veniva definita in sala operatoria dal chirurgo mentre il grano era realizzato in lega di Titanio più rigida. Quando il grano viene serrato sulla barra lascia quindi una indentazione. L’errore non è di progettazione ma nemmeno associabile alla chirurgia. ESERCITAZIONE 20 /09/2022 AFFIDABILITÀ Il corso tratta la progettazione di una macchina o di un suo elemento fase che deve sviluppare un DM che non sia soggetto a cedimento . Una verifica di resistenza corrisponde alla verifica rispetto alle varie situazioni che possono indurre a malfunzionamento; tra queste si hanno: A) DEFORMAZIONI PERMANENTI/SNERVAMENTO (materiali duttili) B) ROTTURE (materiali fragili) C) ECCESSIVE DEFORMAZIONI IN CAMPO ELASTICO (impedito il normale funzionamento del DM) D) ROTTURA A FATICA (quando il DM è soggetto a carichi ciclici ) E) INSTABILITÀ F) URTO G) CARICHI STATICI APPLICATI PER LUNGO TEMPO (inserto in UH -MWPE nella protesi di ginocchio) H) RISONANZA Per eseguire una verifica di resistenza si fa riferimento ad approcci sperimentali o teorici. Il primo prevede prove di carico sul DM con definizione delle condizioni di prova, l’aumento progressivo dei carichi, raggiun gimento del carico limite e calcolo del margine di sicurezza. Il margine di sicurezza è il rapporto tra il carico limite misurato ed il carico realmente applicato . Spesso nel momento di caratterizzazione è necessario andare a considerare una serie di approssimazioni e semplificazioni non ban ali nella definizione delle condizioni di prova. L’approccio teorico invece si basa sulla scienza delle costruzioni o su analisi strutturali che sfruttano simulazioni agli elementi finiti (FEM) ; si calcolano quindi sollecitazioni massime che convogliano a Teorie de lla Resistenza. Le informazioni di carichi massimi non sono significative se non confrontate con le caratteristiche ultime del materiale. Tali caratteristiche vengono ottenute tra mite att ività sperimentale su provini caricati : si eseguono un numer o limitato di prove su provini normalizzati e in particolari condizioni (trazione, compressione, torsione, flessione semplice). Si confrontano quindi i carichi massimi con i carichi limite derivanti dall’attività sperimentale. La verifica di resistenza che mette in relazione lo sforzo calcolato con il limite del materiale riporta che lo sforzo calcolato deve essere inferiore allo sforzo ammissibile (rapporto dello sforzo limite con il coefficiente di sicurezza) secondo l’espressione: Il calcolo di un coefficiente di sicurezza è da rifarsi a incertezze nel calcolo di σ come: trascurati effetti di intagli o, valori delle caratteristiche del materiale imprecisi, determinazione dei carichi agenti e schematizzazione ideale dei vincoli . Tra le due tipologie di approccio nella verifica di resistenza, l’ approccio sperimentale garantisce poche approssimazioni ma è particolarmente costoso (preferito per pezzi costruiti in larga scala) ; l’approccio teorico 9 invece evita una lunga e costosa analisi sperimentale ma introduce approssimazioni e ipotesi forti e non può prescindere da indagine sperimentale. In particolare, per gli studi sulla fatica, l’a pproccio teorico è estremamente limitante . In fase di progettazione, alla verifica di resistenza si affianca il dimensionamento di un pezzo . In particolare, se il pezzo già esiste i esegue una verifica di resistenza mentre se si progetta il pezzo si effettua un dimensionamento. Si eseguono 3 principali scelte di progetto: 1) FORMA DELLE SEZIONI (compatibilità anatomica, ingombri, pesi, …) 2) DIMENSIONI DELLE SEZIONI (sopportare il carico applicato) 3) MATERIALE (caratteristiche meccaniche e fisiche, biocompatibilità) Dopo le scelte progettuali, si ricerca il comportamento meccanica della zona più sollecitata per poter verificare la resistenza locale ed estenderla all’intero DM . La verifica d ella resistenza a fatica considera l’andamento del grafico di Wohler con definizione dei seguenti fattori: A) σF = limite di resistenza illimitata (infinita) a Fatica B) σFAf = limite di resistenza illimitata (infinita) a Fatica Alternata flessionale C) σFAa = limite di resistenza illimitata (infinita) a Fatica Alternata assiale D) σFPf = limite di resistenza illimitata (infinita) a Fatica Pulsatoria flessionale I carichi ciclici sono associati a differenti forme d’onda che caratterizzano le diverse sollecitazioni per DM. Il diagramma di Wohler definisce specifiche aree nel piano sforzo -numero di cicli: 1) resistenza a sollecitazioni quasi -statiche N = 10 3 (costruzioni civili) 2) resistenza a fatica a termine - tratto inclinato in alcuni casi (leghe titanio) quasi orizzontale (dispositivi per osteosintesi) 3) resistenza illimitata a fatica - tratto circa orizzontale N C = 10 6-10 7 macchine a funzionamento continuo, protesi biomeccaniche tratto orizzontale non esiste per tutti i materiali (manca zona III) La verifica di resistenza a fatica si esegue attraverso le seguenti espressioni : KF (>1), b 2 (